il professor Francesco Clementi - Ansa
Questo governo è «una grande opportunità per la politica per ritrovare se stessa – secondo il costituzionalista Francesco Clementi –, mentre l’esecutivo affronterà innanzitutto le tre gravi emergenze - sanitaria, sociale ed economica - che abbiamo di fronte, come ha spiegato bene il presidente Mattarella. Tenendo presente a maggior ragione il recente monito di Giuseppe De Rita, ossia che ai governi tecnici serve, più degli altri, il più largo consenso politico possibile».
Ed è corretto il paragone con Ciampi?
Sul formato naturalmente sì, come tanti hanno detto da subito. Tuttavia, in questo caso, c’è un 'di più' rispetto ad allora, figlio del contesto più sfarinato e incerto in cui, appunto, Draghi è chiamato a operare. Nei due anni di legislatura che abbiamo di fronte, mutato ciò che c’è da mutare, Draghi è chiamato infatti, come fu allora per Alcide De Gasperi, a porre le basi per la ricostruzione dell’Italia.
Cosa spetta alle forze politiche?
Loro, a maggior ragione se di sponde opposte, sono chiamate a stabilizzare il futuro del Paese con riforme ulteriori a quelle di Draghi, progettando, con consapevole responsabilità, una democrazia matura che confermi la legittimazione della loro funzione costituzionale: che non può essere tale solo perché scritta in Costituzione.
Quali riforme sono più alla portata?
Con sano realismo vanno stabilite delle priorità in agenda. Le prime derivano dalla riduzione del numero dei parlamentari. Per cui, va definitivamente chiuso quanto in parte già arato in Parlamento: le riforme dei Regolamenti parlamentari per far funzionare meglio innanzitutto il Senato e rafforzare le forme congiunte di riunione, come, ad esempio, l’introduzione della seduta comune per il voto di fiducia superando il barocchismo di due pressoché identici discorsi di fiducia; poi, l’elettorato attivo per i diciottenni, che ha il vantaggio di ridurre i rischi di due maggioranze distinte tra Camera e Senato; la riforma dell’articolo 57 della Costituzione, con l’introduzione di circoscrizioni pluriregionali per il Senato e, per evitare squilibri, la riduzione, simmetrica a quella dei parlamentari, del numero dei delegati regionali per l’elezione del capo dello Stato.
Approvarle sarebbe già un successo. Si potrebbe fare di più?
Nei due anni di legislatura rimanenti, le forze politiche certamente potrebbero andare un poco oltre, affrontando pure i nodi irrisolti del rapporto Stato-Regioni, espresso in un Titolo V confuso e poco coerente con la natura del nostro Paese e che tanto abbiamo pagato sotto questa pandemia, così come l’introduzione della sfiducia costruttiva. Naturalmente si potrebbe ragionare meglio anche di tutela dell’ambiente, così come di un diritto dell’accesso a Internet che, in modo misurato e puntuale, potrebbe trovare spazio negli stessi diritti costituzionali.
E la legge elettorale?
La nascita del governo cambia le cose. Prima poteva avere una certa fondatezza l’idea che in presenza di forze anti-europee ci si dovesse tutelare con la proporzionale. Il nuovo consenso europeista ci dovrebbe ricondurre sulla strada di Roberto Ruffilli, del cittadino arbitro della scelta dei governi. Chi oggi è indietro nei sondaggi non scelga logiche partigiane continuando a insistere sulla proporzionale, ma provi a cambiare i rapporti di forza nel Paese.
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