mercoledì 5 agosto 2009
Il fondatore di Libera ha incontrato i genitori del sacerdote ucciso dalla camorra a Casal di Principe e ha pregato sulla tomba del confratello.
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Un viaggio nella legalità che cresce, co­me il seme piantato da don Peppe Diana, come il grano cresciuto sulle terre confiscate alla camorra e che ora i gio­vani stanno raccogliendo perché diventi pa­sta. Ed avrà il buon sapore della giustizia, del­l’onestà, della libertà. Don Luigi Ciotti, presi­dente di Libera, ieri è stato in questa parte del­l’agro aversano che quindici anni fa assistet­te in silenzio all’assassinio in chiesa di don Peppe Diana per mano della camorra e che og­gi vede la volontà di crescere e di cambiare nel nome di don Peppe, sacerdote che ha amato la sua terra ed il Vangelo. Il giro di don Ciotti è cominciato lì dove morì il seme, a Casal di Principe. Ha incontrato i genitori del sacer­dote, Jolanda e Gennaro, e li ha salutati nel nome del figlio «martire di giustizia. Lui ave­va scelto, come dovrebbero fare tutti, la nor­malità del bene e del coraggio. Martirio e te­stimonianza sono nelle lingue antiche un so­lo termine. La parola martirio significa testi­monianza, non solo di un fatto, ma testimo­nianza di verità che non può essere negata, taciuta. Don Peppe Diana, come Giovanni Paolo II disse parlando delle vittime delle ma­fie è un martire di giustizia, perché testimone di testimonianza cristiana e di una responsa­bilità civile. Il suo impegno era per illumina­re le coscienze». Al cimitero, il presidente di Libera si è ferma­to davanti alla tomba di don Peppe per «sus­surrargli - ha raccontato - nel silenzio e nella riflessione della preghiera, che continua a vi­vere in ciascuno di noi e ci accompagna nel­la faticosa marcia verso la giustizia quella che per un credente si realizza quando si diventa capaci di fedeltà al Vangelo ed alle vite delle persone. Una fedeltà ed un amore per il suo popolo che ha pagato con il martirio. Di quel­l’amore - ha detto don Ciotti - dobbiamo es­sere grati perché da quell’esempio siamo sta­ti resi tutti più forti e più vigili». E poi i giovani che da tutta Italia a Castel Vol­turno stanno lavorando i sette ettari, appar­tenuti al boss casalese Michele Zaza, a loro volta semi della cooperativa ’Le terre di don Peppe Diana-Libera Terra’ per la produzione di prodotti agricoli. La terra bagnata dal san­gue innocente diventa terra di vita. 'Per tutti è necessario un esame coraggioso nella pro­pria coscienza ed un umile atteggiamento di conversione per fare di più - ha concluso don Ciotti. - Abbiamo bisogno di parole aperte al futuro, di esempi credibili e coerenti, di più fatti e meno parole da parte di tutti. Solo se noi facciamo la nostra parte possiamo chiedere a­gli altri di fare la propria'. Il lavoro dei giova­ni sulle terre di don Diana è la risposta più ef­ficace alle dichiarazioni nei giorni scorsi del­l’onorevole Gaetano Pecorella sull’omicidio del sacerdote e che tante polemiche hanno suscitato. Se ne è reso conto lo stesso presi­dente della Commissione bicamerale sul ci­clo dei rifiuti che infatti in una lettera ai geni­tori di don Diana ha meglio precisato il suo pensiero, innanzitutto chiedendo scusa «se sono stato causa di amarezza per voi o ritenete che abbia offeso la memoria di vostro figlio». Quindi continua: «mai ho detto che vostro fi­glio non è stato ucciso dalla camorra né che della camorra non è stato vittima. Ho detto e­sattamente il contrario». Una lettera che Jo­landa Diana ha accettato con sollievo dopo «tre giorni di inferno. Mi sembrava - ha detto - di essere tornata a quindici anni fa quando mio figlio fu ucciso mentre si preparava ad of­ficiare la Messa e la sua memoria veniva da qualche parte calunniata». Don Luigi Ciotti sulla tomba di don Peppe Diana (Ansa)
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