venerdì 9 ottobre 2009
Mercoledì notte si è spento nel sonno, in seguito a un malore improvviso e a soli 40 anni, il nostro caro collega Lino Giaquinto. Lavorava da dieci anni al giornale, e attualmente ricopriva l'incarico di vicecaposervizio nella redazione dello Sport. Ai suoi genitori, Assuntina e Bruno, e a tutti i parenti l'abbraccio sincero di tutta la famiglia di Avvenire.
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Scrivere. Bisogna scrivere. Perché è il nostro mestiere, anche quando invece vorresti scomparire, o forse solo risvegliarti dall’incubo e scoprire che non è vero niente. Non è così, purtroppo. Lino Giaquinto non è più tra noi. Una notte di ottobre se lo è portato via, senza un perché. Se mai esiste un perché quando hai 40 anni e più vita davanti di quella che ti sei lasciato dietro. L’altra sera era con noi: ha chiuso il “pezzo” sulle ragazze d’oro della scherma ai Mondiali, meticoloso come sempre, attento a far girare bene le parole in colonna «perché altrimenti sta male, dài…». Mitico Lino. Ha salutato tutti, come mille altre notti. Era l’ultima per lui.Borbottone, testardo, infinitamente sensibile: si dice che sono sempre i migliori che se ne vanno. Non è del tutto vero. Lino era certamente meglio di tanti, di chi scrive queste righe certamente. Ma non il migliore. Troppo pignolo, a volte cocciuto, incapace di cambiare idea, granitico. O forse solo un giovane uomo, come non ce ne sono tanti. Serissimo sempre, qualche volta infantile, terribilmente vero, inossidabile, contorto e generoso. Capace di commuoversi e di alzare il vocione. Per questo era un grande. Anzi, è. Perché nessuno riuscirà a dimenticarlo. Anche in un giornale come il nostro, meravigliosa e sorprendente famiglia quando purtroppo i cuori sanguinano, ma pur sempre luogo atipico, caldaia di lavoro e di frenesie. Dove la vita è una chiusura, una rincorsa, un intermezzo tra una pagina e l’altra. C’è sempre troppo poco tempo per conoscersi veramente, per apprezzarsi, per capirsi fino in fondo. E di questo chiediamo scusa a Lino, martoriandoci le dita per non averlo fatto prima.Era stato il suo sogno da bambino, ma a lui forse nemmeno piaceva più tanto questo mestiere adesso. Troppo preciso, troppo poco disposto ai compromessi per fare il giornalista. Ce l’aveva confessato giorni fa. Senza farci capire se diceva sul serio. Voleva più tempo, sempre. Avrebbe voluto lavorare diversamente, chissà. Ma intanto lo faceva nell’unico modo in cui concepiva questa e qualunque altra cosa: con dedizione assoluta. E, quando voleva lui, anche con entusiasmo. Emozionandosi per una medaglia italiana, nemmeno l’avesse vinta lui.Il Genoa, i Mondiali di nuoto, Federica Pellegrini, il caldo, Barcellona (anzi "Barselona" e guai a correggerlo), i viaggi, la sua Varazze. Questo amava più di ogni altra cosa: scriveva da tifoso, tifava da scrittore. Assunto da nove anni, vice capo servizio della Redazione Sport. Ha attraversato le sue e le nostre pagine con ugola pesante: pure i muri della riunione di redazione si ricorderanno di lui. Ed è bello saperlo, anche per noi che adesso sussuriamo e chiediamo pace per la sua anima e per i suoi amati, splendidi, genitori.Ci vuole fede, anche per piangere. Un collega, il ragazzo del computer accanto, un amico. Grazie Lino, sei andato a stare meglio: dove non nevica mai e c’è sempre la luce accesa. Il cielo da oggi è rossoblu. Saluti. (A.C.)
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