mercoledì 31 luglio 2024
Nato in un campo profughi di Gaza, finito più volte in carcere, era stato Primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese prima di diventare leader di Hamas
Il leader del movimento palestinese Hamas, Ismail Haniyeh, durante un incontro con la Guida Suprema iraniana Ali Khamenei

Il leader del movimento palestinese Hamas, Ismail Haniyeh, durante un incontro con la Guida Suprema iraniana Ali Khamenei - ANSA

COMMENTA E CONDIVIDI

Ismail Haniyeh, il leader politico di Hamas ucciso a Teheran con un raid israeliani, era nato il 29 gennaio 1962 in un campo profughi di Gaza, durante l’occupazione egiziana della Striscia, da genitori fuggiti dalla città di Asqalan in seguito alla creazione dello Stato di Israele nel 1948. Dal 2017 era il capo politico di Hamas; da cinque anni viveva a Doha, in Qatar che gli aveva dato l’asilo politico, e in questi giorni si trovava a Teheran per partecipare alla cerimonia di insediamento del presidente iraniano Masoud Pezeshkian.

Da giovane studia all’istituto al-Azhar, laureandosi in letteratura araba all’Università islamica di Gaza. Nel 1983 aderisce al Blocco studentesco islamico, considerato un precursore di Hamas; scala tutti i ranghi del movimento fino a diventare uno stretto collaboratore del co-fondatore, il defunto sceicco Ahmed Yassin. Finisce in carcere in Israele in seguito alle manifestazioni di protesta nel 1987 e nel 1988; nel 1992 viene nuovamente arrestato e deportato assieme ad altri compagni nel sud del Libano tornando poi a Gaza, dove nel 1993 diventa preside dell’Università islamica. Sfugge inoltre a vari attentati.

La sua carriera politica lo ha visto occupare il ruolo di Primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese dal 2006 al 2007. A causa delle forti tensioni interne tra Abu Mazen e Hamas, viene quindi incaricato di costituire un governo di unità nazionale che ha però vita breve, e si conclude con la presa della striscia di Gaza da parte di Hamas. Era sposato e ha avuto 13 figli, tre dei quali sono stati uccisi durante un raid israeliano all’inizio dell’anno. «Il desiderio di mio padre è stato esaudito», quello di morire da «martire. Siamo in una rivoluzione e in una battaglia continua contro il nemico, e la resistenza non finisce con l'assassinio dei leader», ha detto un altro suo figlio, Abdul Salam, in una dichiarazione riferita dall’agenzia iraniana Irna.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI