Ansa
Ilaria Salis, militante antifascista e docente milanese di 39 anni, è accusata di lesioni aggravate ai danni di due neonazisti. Secondo l’accusa fa parte di un gruppo che ha provocato a due uomini alcune lesioni, poi guarite in 5 e 8 giorni. I fatti risalgono alla vigilia del “Giorno dell’onore”, cioè l’11 febbraio 2023, in cui i neonazisti di tutta Europa celebrano il tentativo (fallito per la reazione dell’Armata Rossa) del battaglione della Wehrmacht di rompere l’assedio di Budapest. Per questo gli estremisti di destra si ritrovano nella capitale ungherese.
Il processo
La donna è in carcere in Ungheria dal febbraio 2023 e rischia fino a 24 anni di detenzione. In precedenza, spiegano i legali, era stato proposto a Salis una sorta di patteggiamento a 11 anni, rifiutato. Il processo è stato rinviato al 24 maggio, dopo l’apertura dell’istruttoria e le richieste probatorie di ieri in cui la donna è entrata in aula con le catene a mani e piedi. Mentre il tedesco coimputato di Salis è stato condannato a tre anni di reclusione, un processo immediato proprio perché il co-imputato si è dichiarato colpevole. Secondo la difesa, oltre alle catene a mani e piedi, che violano il diritto europeo, un'altra delle gravi violazioni durante il processo sarebbe stata la non messa a disposizione dei suoi legali delle immagini della presunta aggressione. Così come la traduzione in italiano dei precisi capi d'imputazione.
Perché il caso è emblematico
Più volte l’Europa ha ripreso l’Ungheria per le condizioni carcerarie nel Paese, che violano il rispetto dei diritti umani. L'Hungarian Helsinki Commitee, organizzazione uminitaria che si occupa dei diritti dei detenuti, in una serie di report ha dimostrato il fallimento delle autorità ungheresi nell'uniformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo. Evidenziando soprattuto il sovraffolamento carcerario, mai così alto da 33 anni a questa parte, acuito dalla tendenza del sistema giudiziario ungherese di ricorrere alla carcerazione preventiva. E il racconto della detenzione degli ultimi undici mesi di Ilaria Salis alla sua famiglia in una lettera conferma le pessime condizioni igienico-sanitario e la “durezza” dei trattamenti per i detenuti. Anche perché nel caso di cittadini europei, il diritto dell’Ue è inequivocabile.
Cosa prevede il diritto europeo
Il quadro normativo in casi come quello di Ilaria Solis è abbastanza chiaro, perché – come ricorda Amnesty International - esiste la decisione quadro del 2009 del Consiglio europeo sul reciproco riconoscimento delle decisioni sulle 'misure alternative alla detenzione cautelare', che in questi casi prevede per il detenuto una serie di misure alternative, come i domiciliari. Essa potrebbe non necessariamente essere applicabile solo a condanna definitiva, ma anche prima. «È sicuramente un discorso controverso, perché una recente sentenza della Cassazione ha sottolineato che - nell'ambito applicativo - il relativo decreto legislativo del 2016 si riferisce esclusivamente alle misure cautelari non detentive», sostiene il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury.
Una posizione condivisa anche dai giuristi democratici che ricordano come «la Comunità europea ha stabilito la possibilità di ottenere gli arresti domiciliari nel proprio Stato, giustappunto perché non si verifichino disparità di trattamento tra cittadini europei, il cui pericolo di fuga non deve fungere da elemento discriminante». Da qui la richiesta della Farnesina e dei legali di Ilaria Salis di avere i domiciliari in Italia e di poter assistere al processo in videoconferenza.