Come facciamo, nella maggior parte dei casi, a capire quasi istantaneamente se l’amico che muove la mano sul tavolo cerca di prendere la saliera, sta facendo un segnale a qualcuno o vuole allontanare la bottiglia che gli impedisce di vedere un altro commensale? La spiegazione di come il cervello umano riesca ad operare simili distinzioni viene da una ricerca tutta italiana del gruppo dell’Università di Pisa guidato da Pietro Pietrini, direttore dell’Unità operativa di Psicologia clinica dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana, in collaborazione con il gruppo dell’Università di Modena e Reggio Emilia guidato dal professor Paolo Nichelli.Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica
Human Brain Mapping, che gli ha anche dedicato la copertina.
Finora si riteneva che il nostro cervello avesse delle regioni limitate e specifiche per distinguere le diverse classi di azioni, ad esempio i gesti comunicativi - come salutare muovendo una mano – dalle azioni rivolte agli oggetti - come afferrare la saliera. La rappresentazione dei vari movimenti è però più complessa e impegna diverse aree della corteccia cerebrale tra loro interconnesse. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI) gli studiosi hanno misurato l’attività cerebrale in un gruppo di individui mentre questi osservavano filmati di diversi tipi di azioni compiute da altri. I ricercatori hanno dimostrato che ogni tipologia di azione induce un pattern specifico di risposta neurale che può essere decodificato con un software classificatore.
Svelare il codice segreto del cervello.
Abbiamo chiesto all’autore principale, Emiliano Ricciardi, dell’università di Pisa, di spiegarci in termini accessibili a un non esperto il risultato della ricerca.
“Per capire come sono codificate le azioni nel nostro cervello, abbiamo insegnato ad un computer a “leggere” nel cervello dei soggetti mentre osservavano vari filmati di gesti motori. Analizzando la risposta dell’intero cervello, il computer è stato capace di discriminare quale azione una persona stesse guardando. In questo modo, siamo in grado di creare delle mappe cerebrali specifiche per ogni gesto motorio e ottenere molte più informazioni sulle sue finalità e modalità di esecuzione”.
È interessante anche dare alcuni cenni, più che sulla risonanza magnetica, ormai un po’ conosciuta, su come funziona il “classificatore” dei pattern neuronali.
"Si tratta semplicemente di un algoritmo che impara, sulla base di istruzioni che lo sperimentatore inizialmente fornisce, a discriminare tra due risposte cerebrali diverse. A mano a mano che lo sperimentatore addestra questo algoritmo fornendo nuove mappe cerebrali e indicando a quale stimolo appartengano, l’algoritmo impara e diventa indipendente, non solo nel riconoscere e classificare le risposte del cervello con sempre maggiore accuratezza, ma anche nell’individuare quali siano le differenze tra le diverse classi di stimoli da riconoscere. È proprio questo che serve allo sperimentatore: sapere in quale aree cerebrali avviene questa discriminazione tra più classi di stimoli”.
Viene in mente che vi possa essere qualche connessione con le ricerche sui neuroni specchio. È così?
“Certo. I nostri circuiti in parte si sovrappongono al circuito del sistema specchio nell’uomo. E il sistema specchio interviene direttamente nella rappresentazione delle varie classi di azioni”.
Un aiuto per chi ha subito traumi.
Qual è il significato della ricerca nel quadro delle ricerche su come il cervello rappresenta l’azione?
“Sappiamo che la rappresentazione di un’azione a livello cerebrale deve raccogliere tante informazioni: il soggetto che esegue l’azione, l’oggetto a cui è rivolta l’azione, il gesto motorio che serve per interagire con l’oggetto, solo per citarne alcune. Finora si è pensato che tutte queste informazioni fossero rappresentate in maniera separata in aree diverse del cervello. Invece noi proponiamo che il cervello ne abbia una rappresentazione unica, più estesa a livello della corteccia e che contiene tutte queste informazioni. Questo avviene anche per altri tipi di stimoli, come gli oggetti o i suoni: una sola rappresentazione, verosimilmente più astratta e più concettuale delle azioni”.
Quali sono le possibili ricadute applicativa della topografia cerebrale che si è ricostruita?
“Con queste nuove metodologie di “classificatori” abbiamo reso le nostre metodiche più sensibili e quindi riusciamo a descrivere ciò che osserviamo nel cervello con maggiori dettagli. Dal punto di vista neuroscientifico, possiamo quindi sperare di meglio comprendere come il nostro cervello rappresenti i diversi gesti motori, argomento che ancora non conosciamo appieno. Dal punto di vista clinico, la capacità di una maggiore descrizione funzionale può consentire una migliore definizione di quadri clinici che, a oggi, possono sembrare non chiari sulla base della sede cerebrale di una lesione”.