Punta alla premiership. Giorgia Meloni la scorsa settimana in Piazza Vittorio a Roma, per una manifestazione di Fratelli d’Italia - Ansa
Alla fine, l’aut aut di Fratelli d’Italia ha sortito il proprio effetto. Nel vertice dei leader del centrodestra, tenutosi ieri sera a Montecitorio (in versione allargata a Udc, Coraggio Italia e Noi con l’Italia) per definire l’assetto elettorale della coalizione in vista del voto del 25 settembre, la richiesta incalzante di Giorgia Meloni di far valere per la premiership le regole delle politiche del 2018 è passata. Pertanto, il candidato premier del centrodestra verrà indicato dal partito che incasserà più voti nella coalizione. Una linea accettata dal segretario leghista Matteo Salvini («Chi prende un voto in più sceglie»), ma sulla quale Silvio Berlusconi non è apparso molto convinto (così come sulla ripartizione dei collegi): «Ora Forza Italia è al 10%, ma con me in campo prenderemo il 20%...», è il suo pronostico.
Chi era al vertice riferisce tuttavia di un clima sostanzialmente «sereno», nonostante il braccio di ferro dei giorni scorsi. Meloni aveva chiesto una sede istituzionale (anziché le residenze del Cavaliere, Arcore o la romana Villa Grande, dove si erano tenuti gli ultimi incontri) e così la riunione si è tenuta alla Camera, dove Berlusconi non tornava dalle consultazioni per il governo Draghi, nel febbraio 2021. Ieri, è arrivato mano nella mano della compagna e deputata azzurra Marta Fascina, col coordinatore Antonio Tajani e Licia Ronzulli. Mentre Meloni è giunta con Ignazio La Russa e Salvini (in versione casual, con jeans e sneakers) si è fatto accompagnare dal ministro Giancarlo Giorgetti e da Roberto Calderoli.
Oltre alla regola sulla premiership, si è deciso di allestire un tavolo comune per il programma, anche se ogni partito correrà col proprio simbolo e col proprio capo politico, anche qui come nel 2018, mentre per le circoscrizioni all’estero ci sarà una lista unica.
Più travagliata, invece, l’altra trattativa di peso, quella sulla ripartizione dei collegi uninominali (con Fdi che ne rivendicava metà, facendosi forte dei sondaggi). Qui il confronto è andato avanti fino a tarda sera, non senza interruzioni e momenti di tensione, con Forza Italia poco propensa a cedere. L’intento finale è quello di elaborare un «algoritmo» per la suddivisione dei collegi, con quote per i diversi partiti. E uno dei punti controversi riguarda l’assegnazione a quelli di minor peso.
Meloni, attesa alle 20.30 su Rete 4 per un’intervista, rinvia. Invece il Cavaliere lascia il vertice alle 21, senza dichiarazioni. «È andata bene», dice asciutta Ronzulli. Da giorni Forza Italia è alle prese con l’esodo di parlamentari (giunto a quota 8: i tre ministri Brunetta, Gelmini e Carfagna e poi Cangini, Caon, Versace, Baroni, Sessa) scontenti per l’affossamento del governo Draghi. Meno agitato è il Carroccio, dove i malumori interni paiono rientrati e dove il segretario sta già spronando le truppe per la campagna elettorale.
Intervistato dal Tg5 , Salvini si mostra soddisfatto dell’intesa sulla premiership: «Decidono liberamente i cittadini: chi prende un voto in più, indica chi governerà nei prossimi 5 anni». Poi assicura che «la squadra sarà compatta» e che «lavoro, tasse e sicurezza» saranno i capisaldi del programma. «Ci aspettano mesi difficili e non dobbiamo fare promesse irrealistiche», argomenta il Capitano, «i soldi per azzerare la Fornero ci sono, quelli per la flat tax li prendiamo con la pace fiscale». L’ultima battuta è una stoccata agli avversari del centrosinistra: «Più che una coalizione, è un tutti contro tutti».