giovedì 7 maggio 2015
A Roma spesi 8 milioni per 242 famiglie. Ma quasi tutto va a enti senza bandi pubblici. L’Associazione 21 luglio: zero euro per l’inclusione sociale.
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Un fiume di soldi dei contribuenti spesi dal Campidoglio per lasciare i rom in uno stato di segregazione, privazione dei diritti, emarginazione. Condizioni che inevitabilmente favoriscono il degrado sociale e la devianza. È la condizione di 242 famiglie rom, circa 900 persone, che a Roma vivono da anni in tre centri di raccolta, più altre quattro strutture, ufficialmente «a carattere temporaneo e transitorio». Salatissimo il conto a fine 2014: 8 milioni e 53mila euro, il 29,8% in più rispetto al 2013. È la denuncia documentata dell’Associazione 21 luglio, nel dossier Centri di raccolta Spa, presentato ieri in Campidoglio con l’assessore alle Politiche sociali Francesca Danese, il presidente della Commissione diritti umani senatore Luigi Manconi, il consigliere comunale Riccardo Magi della Lista Marino, il sociologo Tommaso Vitale.Giusto un anno fa l’Associazione aveva pubblicato Campi Nomadi Spa, raccontando - sei mesi prima dell’inchiesta "Mondo di mezzo" - l’affare da 24 milioni nel 2013 spesi per i Villaggi della solidarietà (i campi sosta comunali), i Centri di raccolta e gli sgomberi. Ora il focus è sui sette Centri di raccolta, «spazi segregati privi dei requisiti minimi stabiliti dalla legge regionale 41». Capannoni industriali e magazzini privi dell’abitabilità, allestiti - in fretta e a caro prezzo - dopo gli sgomberi forzati dell’amministrazione Alemanno. Sono in via Salaria 971, in via Visso (il Best House Rom), in via Amarilli. Poi all’ex Fiera di Roma e in tre palazzine sostanzialmente a norma: via san Cipirello, via di Torre Morena, via Toraldo. Per tutti i costi, rispetto al 2013, sono lievitati nel 2014: da oltre 6 milioni a più di 8. Fondi quasi tutti assegnati a enti e cooperative tramite affidamento diretto, senza bando pubblico: per il 90,6% spesi per la gestione dei centri, 4% per la sicurezza, 5,4% per la scolarizzazione. Zero per percorsi di inserimento sociale.Chi ci guadagna? Al Consorzio casa della Solidarietà il 49,2%, 4 milioni. Alla Cooperativa Inopera il 32%, 2,5 milioni. In media 33mila euro l’anno a famiglia. «Sulla questione rom, più che su altre, si gioca la qualità della democrazia in Italia», avverte Manconi. «È in corso un criminalizzazione per la messa al bando di una minoranza. In 70 anni di democrazia non era mai stato condotto un processo di omologazione di un popolo a un fatto criminale», possibile «per la scarsa consapevolezza di cosa sono i diritti fondamentali».Il mantenimento dei Centri di raccolta, dice il presidente della 21 luglio Carlo Stasolla, «è garantito da un accordo implicito, un "patto dell’invisibilità" fondato su tre parole chiave: assistenza, invisibilità, profitto». In cambio di «spazi abitativi inadeguati» ma non a rischio sgombero, un vitto «spesso immangiabile» e «utenze gratuite», i rom «non rivendicano i loro diritti» e chi lo fa «rischia di essere cacciato». Il gestore è «lautamente pagato per garantire l’osservanza del patto».Nel dossier dopo la denuncia c’è spazio per la proposta. A indicare un percorso di uscita è Tommaso Vitale, sociologo all’Università Scienses Po di Parigi. «Nell’analisi delle politiche pubbliche non contano le intenzioni, ma solo i risultati in termini di benessere delle persone», spiega Vitale che si occupa del tema da oltre 15 anni. E indica sette principi: uno, soluzioni abitative per tutti i soggetti, senza scremature, pena «la perdita di fiducia e la ripresa di occupazioni, baraccopoli, sgomberi». Due, confermare i budget, riconvertendoli. Tre, variare le soluzioni: sostegno all’acquisto di case o all’affitto, autocostruzioni e ristrutturazioni, aree attrezzate per famiglie estese. Quattro, negoziare direttamente con le famiglie. Cinque, programmare la spesa con budget individuali. Sei, realizzare un piano complessivo con strumenti, procedure, tempi e obiettivi verificabili. Settimo, dialogare con la città, per spiegare che includere avvantaggia tutti: rom, romani e turisti. «Solo Roma, in Europa, si è spinta tanto nella segregazione. Messina, Padova, Bologna, Venezia, Reggio Calabria, Bergamo hanno già superato i campi».
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