In Italia ci sono oltre 17,32 milioni
di persone a a rischio di povertà o esclusione sociale con un
aumento di oltre 2,2 milioni negli ultimi sei anni di crisi.
È quanto emerge dalla ricerca "La composizione sociale dopo la
crisi" realizzata dal Censis nell'ambito dell'iniziativa annuale
"Un giorno per Martinoli. Guardando al futuro".
Lo studio rileva che il tasso di persone a rischio di povertà è
pari al 28,4% in Italia, superiore a Spagna (27,3%), Regno Unito
(24,8%), Germania (20,3%) e al valore medio dell'Ue (24,5%).
Non solo, ma le disuguaglianze sono aumentate "perché chi meno
aveva più ha perso". Nell'ultimo anno gli operai hanno avuto un
taglio della spesa media familiare mensile del 6,9%, gli
imprenditori del 3,9% e i dirigenti dell'1,9%.
Giovani e lavoro, tutele da tutelare. Per il 67,5% degli italiani "pagare
meno o dare meno tutele a chi entra nel mercato del lavoro non è
giusto, perché si creano fasce di lavoratori penalizzati e
facilmente ricattabili". È quanto emerge dalla ricerca del Censis.
Il 19,3% lo considera inevitabile "altrimenti le aziende non
assumerebbero nuovo personale" mentre per il 13,2% "è giusto,
perché per forza di cose il nuovo arrivato è meno capace e
produttivo".
Per il Censis "ora che si annuncia la ripresa, gli italiani
dicono no a ogni forma di precariato".
Il bilancio dell'occupazione nel periodo della crisi testimonia
la perdita di 615.000 posti di lavoro e l'aumento del precariato.
Sui nuovi assunti del 2013 le persone con contratto a tempo
determinato (inclusi i cocopro) sono state il 60,2% del totale,
mentre nel 2007 erano il 51,3%. E tra i giovani la percentuale
sale al 69,6%, mentre nel 2007 erano il 56,9% (con un balzo di
12,7 punti percentuali).
I precari, prosegue la ricerca, "sono stati i più colpiti dalla
crisi, con licenziamenti e contratti non rinnovati". Sono l'11,6%
degli occupati totali, ma sono il 31,2% dei licenziati o usciti
dal lavoro nell'ultimo anno. Il costo del precariato è stato
pagato di fatto dalle famiglie, con l'erogazione di oltre 4
miliardi di euro annui per i millennials (18-34 anni) privi di
risorse che vivono per conto proprio.
Le imprese voglio ripartire, bocciata la pubblica amministrazione. Le imprese sono pronte a cogliere la
ripresa economica ma la politica "rischia il flop" a causa di una
pubblica amministrazione inefficiente. Questi sono i principali
risultati della ricerca "La composizione sociale dopo la crisi"
realizzata dal Censis nell'ambito dell'iniziativa annuale "Un
giorno per Martinoli. Guardando al futuro".
Dallo studio emerge che il 50,5% degli italiani pensa che la
pubblica amministrazione funzioni male (il dato sale al 59% al
Sud) e solo per meno dell'1% funziona molto bene. Per il 63,5%
nell'ultimo anno la pubblica amministrazione non è cambiata, per
il 21,5% è addirittura peggiorata e solo per il 15% è migliorata.
Per farla funzionare meglio il 45,3% degli italiani chiede in
primo luogo il pugno di ferro per punire i corrotti e regole più
severe per licenziare i finti malati. Il 34,7% vorrebbe
l'assunzione di dirigenti giovani, dinamici e capaci di
organizzare meglio le cose. Il 22,1% chiede che i dipendenti
pubblici siano licenziabili come quelli che lavorano nel privato
e il 19,3% vuole che i più meritevoli vengano pagati meglio.
Intanto, sottolinea il Censis, "per ottenere autorizzazioni e
accelerare pratiche restano le solite maniere: dalla
raccomandazione al regalino". Per ottenere un'autorizzazione o
accelerare una pratica nella pubblica amministrazione 4,2 milioni
di italiani hanno fatto ricorso "a una raccomandazione o
all'aiuto di un parente, amico, conoscente".
Infatti, sottolinea il Censis, "all'inefficienza della pubblica
amministrazione gli italiani si adattano secondo una doppia
morale". E sarebberon "quasi 800.000 le persone che hanno fatto
un qualche tipo di regalo a dirigenti e dipendenti pubblici per
avere in cambio un favore".