Il telefono cellulare può causare il tumore. Lo afferma una sentenza del Tribunale di Ivrea. L'Inail, l'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, dovrà risarcire un ex dipendente della Telecom ammalatosi di neurinoma dell'acustico, un tumore benigno ma invalidante, causato dall'utilizzo prolungato del telefono cellulare.
La decisione, in primo grado, del Tribunale di Ivrea (sentenza n. 96 del 30 marzo 2017) riconosce il legame tra tumore cranico e uso del cellulare. La vittima si chiama Roberto Romeo e oggi ha 57 anni. Per quindici anni, dal 1995 al 2010, ha utilizzato il telefono cellulare messogli a disposizione dall'azienda, anche per 3-4 ore al giorno. Fino a quando, una mattina, ha avvertito un fastidio all'orecchio destro "come se fosse otturato". È il 2010 quando Romeo decide di recarsi dall'otorino, che durante la visita non riscontra nulla di anomalo. Anche la successiva cura antibiotica non migliora la situazione, così il paziente si sottopone a una risonanza magnetica.
L'esame mostra un neurinoma dell'acustico, carcinoma benigno ma che necessita di essere asportato. L'intervento avviene nel 2011: i medici rimuovono il neurinoma, ma anche il nervo acustico, con la conseguente perdita di udito dall'orecchio destro. Un danno biologico permanente del 23%, come stabilito dal giudice del lavoro Luca Fadda, che si è basato sulla consulenza tecnica d'ufficio del professor Paolo Crosignani e ha condannato Inail a versare al lavoratore un vitalizio da malattia professionale, quantificabile in circa 500 euro al mese.
"Con il caso deciso dal Tribunale di Ivrea - spiegano i legali della vittima Renato Ambrosio e Stefano Bertone - è la prima volta che, fin dall'inizio, la giustizia italiana riconosce la piena plausibilità dell'effetto oncogeno delle onde elettromagnetiche dei cellulari. Effetto già riconosciuto sin dal 2011 dalla Iarc (International agency for research on cancer) che includeva le onde dei cellulari e dei cordless fra i possibili cancerogeni".
Lo studio associato Ambrosio & Commodo, insieme all'Associazione per la prevenzione e la lotta all'elettrosmog ha, intanto, realizzato un sito www.neurinomi.info, dedicato a chi ha sviluppato patologie tumorali dell'VIII nervo cranico (scwhannoma vestibolare) e ha usato il telefono cellulare per più di 1.640 ore cumulative. "Il portale - dicono i promotori - nasce come luogo di riferimento per coloro che hanno subito danni da esposizione ai campi elettromagnetici da telefonia cellulare e vogliono denunciare, ma anche per chi, in buone condizioni di salute, voglia leggere e ascoltare una posizione cautelativa sull'uso proprio e altrui delle apparecchiature telefoniche senza fili". A tal proposito, nella sezione "cautele" sono elencati dieci accorgimenti pensati per gli adulti. Dall'uso consigliato dell'auricolare alle modalità di utilizzo durante la giornata e, soprattutto, la notte.
Aiom: «Cellulari e tumori, non ci sono prove scientifiche»
"A oggi non c'è un rapporto causa-effetto accertato che indichi che l'uso del telefono cellulare aumenta il rischio di cancro". Carmine Pinto, presidente dell'Aiom, l'Associazione italiana di oncologia medica, commenta così all'Agi la sentenza del tribunale di Ivrea che ha invece riconosciuto un risarcimento a un dipendente Telecom ammalatosi di tumore per colpa, secondo il giudice, proprio del telefonino.
"Non conosco la sentenza - premette Pinto - ma posso dire che in 20 anni la letteratura scientifica non ha prodotto evidenze certe sulla correlazione tra cellulari e cancro, ci sono diversi studi contraddittori, non esaustivi". Il punto, ricorda l'oncologo, è che i cellulari emettono campi elettromagnetici a bassa frequenza, e "su questi campi non ci sono studi completi. Non ci sono prove
che anche basse frequenze riescano a influire sui neuroni tanto da provocare un cancro cerebrale. Anche perchè, dal momento
che l'irradiamento di questo tipo di campi è molto tenue, ci vogliono 30 anni per poter valutare in maniera attendibile i possibili effetti sul cervello. Senza contare che in questi decenni la tecnologia è enormemente cambiata, ed è difficile fare comparazioni".
Insomma, la scienza ancora non si pronuncia: "Noi come medici - conclude Pinto - in attesa di studi più esaustivi possiamo dare regole di buon senso, sempre le solite. Non stare a lungo al cellulare, usare l'auricolare, in generale utilizzare correttamente il telefono, senza esagerare".
Il consulente: «Ma in altri Paesi c'è più prevenzione»
L'Italia, a differenza di tanti altri Paesi in Europa e nel mondo, non prende misure per contenere la nocività dei telefonini cellulari perché i suoi specialisti "continuano a sostenere l'innocuità delle radiazioni". Lo denuncia il professor Angelo Levis nella consulenza prestata in tribunale a Ivrea durante la causa promossa da un uomo colpito da tumore.
L'esperto riporta un elenco (aggiornato fino all'aprile del 2013) diffuso dall'associazione "Safer phone zone". Vi si trovano gli Usa - dove San Francisco è stata la prima città, nel 2011, ad approvare una legislazione cautelativa - e poi Canada, Australia, Israele, Francia, Russia, Belgio, Irlanda, Finlandia, Regno Unito, India (vietato l'uso dei cellulari sotto i 16 anni e la vendita a bambini e donne gravide), Svizzera, Corea, Giappone "e persino il Tagikistan".
"In questo lungo elenco - scrive Levis - manca qualsiasi cenno all'Italia, il che non deve stupire visto che i nostri oncologi, i farmacologi ma soprattutto i funzionari dell'Iss e persino gli ex ministri della Salute continuano a sostenere l'innocuità delle radiazioni emesse dai cellulari, sul cui uso cautelativo nessun provvedimento è stato finora adottato e tanto meno pubblicizzato, neppure per i bambini e per gli adolescenti".
Nel 2009 a Brescia una sentenza simile
La sentenza di Ivrea ha un precedente simile: già nel 2009 la Corte d'appello di Brescia aveva dato ragione a un ex dirigente d'azienda affetto da una grave patologia cerebrale. L'uomo aveva lavorato per 12 anni utilizzando il cellulare e il cordless per una media di 5/6 ore al giorno. Ammalatosi di neurinoma del ganglio di Gasser, aveva chiesto all'Inail le prestazioni di legge, ma l'Inal aveva rifiutato la richiesta, negando il nesso causale fra l'attività lavorativa e la patologia denunciata. Il giudizio di primo grado aveva dato ragione all'Inail, ma la Corte d'appello di Brescia, con sentenza del 10 dicembre 2009, aveva stabilito il nesso con-causale probabile tra l'utilizzo dei telefoni e la patologia, condannando l'Inail a corrispondere all'uomo la rendita per malattia professionale prevista per l'invalidità all'80% (come si legge in questo articolo su www.laprevidenza.it). La sentenza di Brescia è stata poi confermata dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, il 12 ottobre 2012.