Un aiuto economico di 4mila euro basta spesso a salvare un bambino dall’aborto. Ma il Centro di aiuto alla vita (Cav) presso la Mangiagalli di Milano a partire da aprile teme di non poterlo più promettere. È questo uno dei crucci maggiori di Paola Bonzi, fondatrice e direttrice dello storico Cav che ha sede presso la maggiore clinica ostetrica della Lombardia, dove ogni anno vengono al mondo circa 7mila bambini, ma dove si effettuano circa 1600 aborti. «Ma molti potrebbero essere evitati – sottolinea Paola Bonzi –. Basta pensare che su dieci donne a rischio d’aborto che si rivolgono a noi, otto o nove rinuncerebbero all’interruzione di gravidanza se aiutate economicamente». Di qui l’appello alle istituzioni (Regione, Provincia e Comune) a mettere in campo un po’ di buona volontà per sostenere economicamente un Centro che, nel solo 2009 ha incontrato e aiutato circa 2200 donne. «Del resto – puntualizza Paola Bonzi – la stessa legge 194, che si intitola “per la tutela sociale della maternità” all’articolo 5 parla del compito degli enti pubblici di mettere in campo risorse per sostenere la donna. Ma in realtà la 194 è l’unica legge non finanziata». Proprio ieri all’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano sono stati inaugurati tre reparti completamente rinnovati dopo la ristrutturazione: si tratta degli ambulatori della Clinica Mangiagalli, del nido Santa Caterina e del reparto degenze della chirurgia pediatrica. «Siamo contenti di queste realizzazioni – osserva Paola Bonzi – ma vorrei sottolineare che prima bisogna far nascere i bambini: poi potremo curarli, educarli, aiutarli a crescere». «Sappiamo che sei donne su dieci in fila per abortire – aggiunge – piangono in attesa della visita. Sono straniere al 70%, ma le italiane sono in aumento: spesso donne con contratti a termine che vedono il lavoro messo a rischio dalla gravidanza». È evidente che occorre poter offrire risorse concrete: «Il nostro Cav è una onlus e abbiamo un bilancio trasparente – puntualizza Bonzi –. Di un milione e 800mila euro di uscite nel 2009, la voce sussidi pesa per 800mila euro. Il consultorio familiare è accreditato e le prestazioni professionali (psicologo, ginecologo, ecc) sono rimborsate dalle Asl, ma l’aiuto alle donne dobbiamo trovarlo noi. Infatti forniamo non solo sussidi economici diretti (200-250 euro al mese per 18 mesi), ma anche latte e attrezzature di tutti i tipi e pannolini fino all’anno di età del bambino: assicurarli a 600-700 bambini l’anno comporta cifre considerevoli». Nel 2009 sono state 2200 le donne che si sono rivolte al Cav per un aiuto: di queste circa 600 incinte nel primo trimestre e a rischio di aborto: «Per almeno 400 di loro serviva un aiuto economico: i conti sono presto fatti. E quando incontriamo una donna in difficoltà, non abbiamo tempo: quando esce dal Cav deve avere in mano un progetto che le offra la tranquillità per 18 mesi». E ora le casse sono quasi vuote: «Abbiamo risorse solo fino ad aprile, perché dobbiamo mantenere le promesse alle donne cui le abbiamo fatte. E quindi potremmo non poter accettare nuove persone in carico. Mi preoccupa molto – sottolinea Paola Bonzi – di essere posta in un dilemma tra l’angustia perché le donne che vengono in Mangiagalli per abortire non conoscono l’esistenza del nostro Cav e dall’altra parte non sapere come fare ad aiutarle se si rivolgessero a noi». Quello che serve quindi è uno slancio straordinario da parte delle istituzioni: «Come tre anni fa, quando ottenemmo 500mila euro dalla Regione e 200mila dal Comune. Abbiamo idea di quanto costano alla sanità le cure delle donne alle prese con le conseguenze dell’aborto, che rischiano depressione, tentativi di suicidio, abuso di sostanze? Non è meglio impiegare i soldi prima, per far nascere i bambini?»