L'avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, mostra delle foto durante il dibattimento del processo d'appello per la morte di Stefano Cucchi, a Roma 31 ottobre 2014 (Ansa)
Ogni udienza del processo Cucchi-bis sembra rivelare nuove aree grigie. Nella ragnatela dei depistaggi, messi in atto per nascondere le presunte responsabilità dei carabinieri nella morte del geometra, ora c’è anche una relazione preliminare sui primi risultati dell’autopsia, tenuta segreta e depositata nel 2009 in Procura. I carabinieri ne erano a conoscenza, ma sembrano ignorarla nei loro primi atti ufficiali.
A illuminare l’ennesima zona d’ombra nella vicenda del detenuto morto all’ospedale Pertini dieci anni fa, è il pm Giovanni Musarò. La relazione datata 30 ottobre 2009 «sui primi risultati dell’autopsia», fu «tenuta segreta ma il Comando Provinciale e il Gruppo Roma sapevano». Il documento preliminare lasciava incerto un qualsiasi nesso tra le lesioni sul corpo di Cucchi e il decesso. Mentre negli atti i carabinieri escludevano con certezza ogni collegamento, la relazione sottolineava che «la lesività delle ferite allo stato non consentiva di accertare con esattezza le cause della morte», senza escludere responsabilità per i militi. Versione che cozza contro i verbali dei carabinieri, redatti poche ore dopo.
In Corte d’Assise a Roma, il pm Musarò sottolinea che «nei verbali a firma dell’allora comandante del Gruppo Roma Casarsa e dell’allora comandante provinciale Tomasone la relazione non è menzionata». E già in quei giorni i carabinieri, «pur sapendo di quella relazione preliminare segreta nel verbale, escludevano un nesso di causalità delle ferite con la morte». Un documento che, dicono gli stessi legali della famiglia Cucchi, è stato loro «nascosto fino al deposito della relazione completa nel 2010». Nonostante avessero «presentato istanza al pm Vincenzo Barba», titolare della prima indagine.
Incongruenze che hanno spinto lo stesso Musarò a porsi una domanda senza risposta: «Se nel 2009 non si conoscevano le cause della morte com’è possibile che i carabinieri nei loro documenti già lo sapessero?». Ovvero: se la relazione introduceva elementi di incertezza, perché i carabinieri esclusero il nesso lesioni-morte? In una deposizione di tre giorni fa è lo stesso autore di quel documento, il medico Dino Mario Tancredi, a dirsi perplesso: «Non so perché la relazione preliminare non fu messa a disposizione delle altre parti». Per il medico legale la relazione «contiene un parere preliminare del tutto orientativo, poi è necessario compiere approfondimenti e valutazioni del caso. Per questo il pm ci concesse 60 giorni» e il perito fu affiancato da un gruppo di specialisti.
Mesi dopo arrivò la relazione definitiva del 2010, definita «ormai come farlocca» dal pm, perché inquinata da presupposti investigativi viziati. Musarò ha chiesto ai giudici di ritirare dalla lista testi medici legali, periti e consulenti del pm nel primo processo che vede imputati i medici del Pertini: «Testimonianze che introdurrebbero un vizio nel processo attuale». E ieri i carabinieri indagati per depistaggio si sono avvalsi della facoltà di non rispondere: il generale Alessandro Casarsa, il tenente colonnella Luciano Soligo e i Capitano Testarmata. Sul fronte del processo d’appello ai medici del Pertini, è arrivata la seconda perizia chiesta dalla Corte d’Assise d’Appello: Stefano morì per una morte cardiaca su base aritmica, non per malnutrizione, come sancì la perizia precedente. Ma non si esclude che cure adeguate avrebbero potuto salvarlo.