«Attaccare Napolitano significa attaccare l’Italia». Renato Schifani interviene sulle polemiche che lambiscono anche il Quirinale sulla cosiddetta trattativa. «In questi anni ho avuto l’onore di collaborare e confrontarmi con il presidente della Repubblica», premette il presidente del Senato. «Sia nei nostri incontri istituzionali che in quelli riservati ho trovato in lui un grandissimo senso dello Stato, una grandissima trasparenza, correttezza e saggezza», si schiera con forza e nettezza la seconda carica dello Stato. «Questi valori sono un patrimonio del Paese - insiste Schifani -: attaccare il presidente Napolitano significa danneggiare il nostro Paese».Un clima di sospetti e veleni su cui si sofferma senza giri di parole Pier Ferdinando Casini: «Come cittadino voglio sapere chi, divulgando intercettazioni in un perverso circuito giudiziario mediatico, ha determinato un attacco al Quirinale chiaramente pretestuoso e infondato», chiede il leader dell’Udc. Che però tiene fuori lo scacchiere politico nel suo insieme. «Tanto per essere chiari non penso ai partiti politici ma a schegge della magistratura che forse hanno obiettivi intimidatori». E conferma piena fiducia nel Colle: «Napolitano - osserva anche Casini - ha esercitato ed esercita bene la sua posizione di equilibrio fra poteri dello Stato. Se c’è un uomo che non si lascia intimidire e sul quale le intimidazioni hanno l’effetto contrario è proprio il Presidente della Repubblica», e ne elogia «i nervi saldi». Ma insiste: «Bisognerà capire chi ha fatto uscire le intercettazioni del Presidente e dei suoi consiglieri utilizzandole in un circuito perverso per determinare un attacco al Capo dello Stato. Vorrei ci fosse una bella indagine e che una volta tanto ci si dica come e perché sono state sbattute sui giornali queste conversazioni», auspica.Interviene anche il segretario del Pd Pierluigi Bersani: «Napolitano è ormai uno dei pochi presidi in questa democrazia. Sarebbe meglio evitare manovre attorno a lui, perché poi non ci ritroviamo più niente». Ma Walter Veltroni ribalta la tesi di Casini: «Credo che tutta la magistratura stia lavorando per cercare la verità». Mentre «non c’è dubbio -a suo avviso - che ci sia stato da parte di ambienti della politica un attacco a Napolitano».Nel Pdl erano fioccate dichiarazioni a sostegno del Quirinale con l’eccezione di esponenti della destra, ecco Maurizio Gasparri interrompere questo silenzio di "area": «Sulla vicenda della presunta trattativa tra Stato e mafia negli anni ’92-’93 non c’entra nulla il Quirinale di oggi, bensì il Quirinale di venti anni fa», sposta il tiro il capogruppo al Senato. «Anche dai fatti che emergono in questi giorni abbiamo l’ennesima conferma che Oscar Luigi Scalfaro intervenne su una nomina a lui gradita all’amministrazione penitenziaria - torna sulla sua polemica -, probabilmente funzionale alle scelte, sbagliate, che furono fatte in quel tempo. Ed in quei mesi al Quirinale c’era appunto Scalfaro, al ministero dell’Interno Mancino e a Palazzo Chigi si alternarono Amato e Ciampi», ricorda Gasparri.Una polemica «sconcertante», una «tempesta in un bicchier d’acqua», la definisce Michele Vietti, vicepresidente del Csm, e successore di Mancino. «Il Capo dello Stato - spiega Vietti - è il presidente del Consiglio superiore della Magistratura, ed è naturale che in tale funzione abbia attivato tutti i meccanismi che l’ordinamento prevede perché ci fosse un’attività di vigilanza e coordinamento da parte della Procura Generale della Cassazione, alla quale questi compiti spettano per legge». Nulla di strano, dunque, per Vietti, anche riguardo alla convocazione in Cassazione del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Le parole di Casini sulle «schegge della magistratura» provocano la reazione ironica di Osvaldo Napoli. «Benvenuto presidente Casini, anche in ritardo, ma benvenuto!», dice il vicecapogruppo alla Camera del Pdl. Quanto a Napolitano, però, anche Napoli ribadisce «ferma e convinta solidarietà».