Rilanciare il turismo attraverso la creazione di nuovi casinò in alberghi a 5 stelle. L’idea, filtrata ieri e da giorni al vaglio dei tecnici del governo, è contenuta in una bozza di decreto di 19 articoli messa a punto dal ministro Michela Brambilla che verrà probabilmente discussa dall’esecutivo già oggi, sia pure informalmente. «È una proposta a cui sto lavorando – ha confermato in serata la Brambilla – ma la materia non sarà all’esame» dell’incontro odierno del Consiglio dei ministri. Eppure sull’ipotesi si sono già concentrate osservazioni e critiche degli addetti ai lavori. I punti dirimenti sono sostanzialmente due, fatta salva la controversa scelta di investire su un provvedimento del genere: da un lato la decisione di puntare, se il testo venisse confermato, su un’utenza di alto livello per il rilancio dell’economia turistica del nostro Paese, dall’altro la corsa ad accreditarsi, per ragioni differenti, di molte città e centri di medie dimensioni che sperano di calamitare, con l’apertura o la riapertura di sale da gioco, nuove fette di visitatori.
Tutte le critiche al piano. Il primo intervento del ministro Brambilla in materia risale al febbraio scorso, quando disse di essere d’accordo con l’ipotesi di aprire nuovi casinò «magari mettendoli negli hotel di lusso e consentendo il gioco ai soli ospiti». In precedenza, un ordine del giorno accolto dal governo nell’agosto 2008 aveva previsto la possibilità di aprire al massimo 10 casinò in quattro diverse aree geografiche del nostro Paese. Ora il piano del ministero, che vuole diversificare e aumentare i flussi turistici sostenendo l’offerta recettiva più qualificata, sarebbe la vera novità contenuta nello schema di decreto sul rilancio dell’immagine del Sistema Italia. Prima però sarà necessario un sì preventivo anche da parte dei ministeri dell’Interno e dell’Economia e per questo i tempi saranno verosimilmente più lunghi. C’è poi da considerare che, almeno finora, hanno prevalso i rilievi e i distinguo rispetto ai giudizi positivi. Solo Federturismo ha espresso «un sì con riserva per un provvedimento che va nella direzione di quanto fatto già in altri Paesi», mentre Federgioco, pur ribadendo disponibilità al confronto, ha «stigmatizzato il metodo» contestando il ricorso al decreto legge e invitando il ministro Brambilla a un ripensamento. Più articolato il parere dell’Anit, l’associazione che raccoglie Comuni da tempo in lista d’attesa per la riapertura dei casinò, che per bocca del suo coordinatore Gianfranco Bonanno, parla di «propositi apprezzabili», ma dice no all’utilizzo degli hotel a cinque stelle, «strutture di élite che non porterebbero benefici all’economia locale». Preoccupati anche i lavoratori Slc-Cgil, secondo cui ci sarebbero «pesantissime ripercussioni sulla tenuta occupazionale nelle quattro case da gioco» di Sanremo, Saint Vincent, Venezia e Campione.
Il resto del provvedimento. Gli altri interrogativi rispetto alla riapertura dei casinò riguardano proprio l’individuazione delle città coinvolte dal provvedimento e la ripartizione delle risorse a favore delle casse comunali, mentre continua il pressing degli operatori perché si privilegi alla fine un’utenza più ampia rispetto a quella dei soli clienti delle strutture di lusso. Ci sono margini perché il provvedimento possa cambiare? L’impressione è che decisivo sarà il passaggio odierno in Consiglio dei ministri, dove verranno probabilmente espresse anche riserve legate all’opportunità del provvedimento in materia di ordine pubblico. Quanto al resto del decreto turismo, dovrebbe essere previsto un credito d’imposta per gli investimenti sostenuti dalle strutture recettive, mentre per le agenzie di viaggio sarebbe allo studio il prelievo delle imposte dirette e dell’Iva all’atto di inizio del viaggio o del soggiorno. Favorevole al credito d’imposta per gli alberghi si è detta Confturismo, secondo cui «un sostegno di questo tipo potrebbe essere utile a tutto il comparto alberghiero».
La mappa delle candidate al tavolo verde. C’è Taormina che aspetta dal 1964, anno di chiusura del suo casinò. Si sono mossi pure i parlamentari del Mpa, con un ddl in sei articoli, per chiederne la riapertura. Ci sono Stresa, Montecatini Terme, San Pellegrino, Bagni di Lucca e molti altri Comuni pronti a (ri)appassionarsi per roulette e tavolo da gioco, dopo fugaci esperienze nel secolo scorso. E la lista delle candidature è lunga, se pensate che la voglia di casinò è arrivata fino all’isola d’Elba, con l’ipotesi di ospitarne uno a Porto Azzurro. Ma a ben vedere, la mappa delle località papabili è arrivata ieri dalla Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi, che ha parlato del provvedimento segnalando che «porterebbe più danni che benefici». Secondo la Fipe in Italia potrebbero aprire oltre 230 case da gioco disposte a macchia di leopardo sul territorio, senza alcun nesso con il turismo. Se venisse preso per buono l’unico criterio sin qui circolato per l’individuazione dei Comuni ospitanti, cioé la presenza di alberghi a cinque stelle, la Regione che ne «beneficerebbe» di più sarebbe la Campania, con il 14,7% delle strutture che risponderebbe a questo requisito, seguita dalla Lombardia (13,4%) e da Veneto e Toscana (12,9%). Il problema, secondo la Fipe, è costituito proprio dal fatto che «il mondo dei casinò sta vivendo un momento di grande difficoltà a livello mondiale e per questo sembra ancora più assurda l’idea di poter fare cassa da un settore in piena crisi». Secondo il centro studi della federazione, i casinò potrebbero generare al massimo lo 0,5% in più delle presenze all’anno, mentre sarebbe tutta da verificare la reazione dei giocatori-turisti, per poco o nulla assimilabile a quella dei turisti tout court.Basta vedere quanto sta accadendo ai quattro casinò storici del nostro Paese. In questi mesi hanno annunciato tutti, eccetto Sanremo, importanti stanziamenti per tentare di risalire la china. L`investimento più consistente lo ha annunciato il casinò di Campione: 140 milioni di euro. Venezia ne ha stanziati 40, Saint Vincent 45. In totale un pacchetto di 225 milioni di euro che gli azionisti di riferimento delle quattro case da gioco italiane (gli enti pubblici) hanno deciso di varare. Per la prima volta nella loro lunga storia i casinò sono dunque obbligati a pensare e ad agire come una normale impresa commerciale, una dimensione insolita per aziende pubbliche abituate unicamente ad aprire le porte per realizzare i loro profitti.