martedì 26 maggio 2020
Anelli (Fnomceo): condivido la proposta di dedicare una Giornata il 29 marzo, quando morì Urbani. Con lui onoriamo anche Wenliang, primo dottore scomparso dopo aver lanciato l’allarme sul Covid-19
Reparto Covid di Bari: medici e infermieri firmano il cartello all’ingresso

Reparto Covid di Bari: medici e infermieri firmano il cartello all’ingresso - Fotogramma

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«Condivido la proposta di dedicare una Giornata ai camici bianchi perché è un modo per valorizzare la professione medica, sia dal punto di vista etico-deontologico, sia politico-sociale». Filippo Anelli, presidente degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), concorda anche sull’idea, rilanciata da Avvenire, di proporre la data del 29 marzo, anniversario della morte di Carlo Urbani, il medico marchigiano che per primo individuò la Sars nel 2003 e ne morì: «Si preoccupò che quello che aveva osservato potesse diventare un pericolo per il mondo, e assunse le misure di isolamento necessarie per evitare che l’epidemia si trasformasse in pandemia. Con lui ricorderei anche il medico cinese Li Wenliang, che lanciò l’allarme ed è poi morto di Covid–19».

Una Giornata di festa per ringraziare i camici bianchi. Che cosa ne pensa?

Sono d’accordo perché serve a valorizzare la figura del medico e dei professionisti della salute, dal punto di vista sia eticodeontologico, sia politico-sociale. Almeno dalla fine degli anni Novanta infatti, in Europa si è sviluppato un pensiero (che ha orientato anche il Trattato di Lisbona) che tende a inquadrare tutte le attività nell’ambito del rendimento economico e dell’impresa. Oggi stiamo toccando con mano e riscoprendo che la professione medica non può essere esercitata solo con un sapere, che diventi estensione del potere. Già i Greci dell’epoca di Ippocrate avevano capito che quel sapere deve essere condizionato da regole, di carattere etico, che orientino il grande potere nelle mani dei medici, perché fosse orientato a fin di bene. E ancora oggi, per noi, la professione medica non è soltanto la competenza, perché ci renderebbe solo dei tecnici: non si può essere professionisti se accanto alle competenze non c’è anche un criterio per utilizzarle, cioè la dimensione etica. Nella pandemia abbiamo assistito alla dedizione dei medici, i quali, poiché hanno giurato di perseguire il bene, lo riescono a fare in condizioni difficili, anche mettendo a rischio la propria vita. Ben 164 nostri colleghi sono morti contagiati dal Covid-19, tutti ricordati sul sito web della Fnomceo. In passato è stato molto criticato il paternalismo medico: oggi tutti possono rendersi conto che il potere della conoscenza deve essere orientato al bene.

E dal punto di vista politito–sociale?

Al medico e ai professionisti sanitari sono demandati compiti importanti sul piano sociale, perché la Costituzione affida a chi ha le competenze il rispetto di alcuni diritti, a partire dal diritto alla salute. Senza le competenze sanitarie, non potrebbe essere garantito e rispettato il diritto alla salute. E con esso, altri diritti sanciti dalla Costituzione: il diritto all’uguaglianza, all’equità, all’autodeterminazione, alla libertà della ricerca e della scienza. Le professioni diventano uno strumento per garantire la democrazia. Mi pare quindi importante ricordare questi professionisti che hanno dedicato la loro vita a garantire il diritto alla salute di tutti, a farlo con ragioni etiche, e a mettere in discussione la loro vita perché avevano fatto un giuramento. Credo che serva a riassumere l’ideale della professione.

La data della morte di Carlo Urbani è quindi una proposta appropriata per la giornata dei camici bianchi?

Assolutamente sì. Carlo Urbani si trovò di fronte a una situazione critica, capì che il virus aveva compiuto il salto di specie e che se non si fosse agito in fretta dall’epidemia si poteva arrivare a una pandemia, con centinaia di migliaia di morti. Agì con prontezza per trovare una soluzione che limitò il contagio. Oggi ci siamo trovati di fronte a una situazione molto simile a quella della Sars nel 2003, e l’approccio dei medici è stato lo stesso. Per questo ricorderei anche il collega cinese Li Wenliang, che per primo aveva diagnosticato la nuova malattia e aveva previsto che potesse trasformarsi in pandemia: per la sua ipotesi è stato perseguitato dal governo, prima di perdere la vita.

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