Sono "oltre il limite della loro
capienza" le strutture delle cooperative legate Caritas
ambrosiana che a Milano ospitano i rifugiati, una situazione
aggravata dai continui arrivi di profughi in stazione Centrale e
dal blocco delle frontiere.
"Di fronte a questa tragedia umanitaria a Milano il Comune e
la Prefettura hanno messo insieme un sistema di pronta
accoglienza che prevede un veloce avvicendamento di ospiti. Ma
- ha avvertito il direttore della Caritas don Roberto Davanzo -
è chiaro che se il flusso di uscita dai centri si blocca perché
le persone vengono respinte alle frontiere si crea un tappo che
mette sotto pressione l'intero sistema e rischia di farlo
saltare". E quindi, secondo il direttore, o si permette il
passaggio dei migranti negli altri Paesi europei o bisogna
identificare chi arriva e aumentare i posti per accogliere i
richiedenti asilo. I posti sono passati da seimila a 25 mila
posti ma si tratta comunque della metà delle richieste di asilo
arrivate lo scorso anno. A Casa Suraya (un ex convento che
ha preso il nome dalla prima bimba siriana nata a Milano
dall'inizio di questa emergenza), nella zona Ovest della città,
ci sono 110 ospiti anche se la capienza è di cento.
"Preferiremmo non dover arrivare al punto di mettere le brandine
anche lungo i corridoi" ha spiegato Annamaria Lodi, la
presidente della cooperativa Farsi prossimo.
Gli ospiti della struttura arrivati nelle ultime due
settimane sono siriani ed eritrei. E "nessuno - si legge in un
comunicato della Caritas - desidera rimanere in Italia: solo una
mamma con due figli ha dichiarato di voler fare richiesta di
asilo". Il blocco delle frontiere ha però fermato molti e diviso
famiglie in cui le moglie erano andate avanti con i bambini.
"Malgrado le criticità Milano sta rispondendo in modo
adeguato per la dignità dei più poveri e per la sicurezza dei
milanesi. Certo - ha osservato Davanzo - lo scontro ideologico
che fa dei migranti argomento elettorale molto sensibile
indebolisce la capacità di intervento che potrebbe essere più
significativa". La speranza del direttore della Caritas
ambrosiana è che le parrocchie mettano a disposizione qualche
struttura non tanto per la fase di emergenza, quanto per quella
successiva, per aiutare chi si fermerà.