venerdì 27 marzo 2009
Sovraffollamento, carenze organizzative e di personale rendono esplosiva la situazione. A Catania si dorme per terra, a Torino su materassi sistemati nella palestra. E crescono i suicidi in cella. Appena varato un piano per la realizzazione di 17mila nuovi posti, anche con i privati Presto sarà sfondato il limite della «tollerabilità», fissato in 63mila reclusi. La rieducazione passa in secondo piano.
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La pena dovrebbe consistere nella priva­zione della libertà per il periodo di tempo stabilito dal giudice, ma nelle 206 carceri italiane si sconta anche una serie di pene ac­cessorie non previste dal codice, lesive della di­gnità umana. E della Costituzione, come ha os­servato il ministro della Giustizia Angelino Alfa­no, perché l’articolo 27 sancisce che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al sen­so di umanità». Al bando ogni buonismo di ma­niera, parlano i numeri: l’ultimo riepilogo na­zionale del Dipartimento amministrazione pe­nitenziaria (Dap) riferisce di 60.574 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare comples­siva di 43.169 e di un limite tollerabile di 63.623. Raggiungere e sfondare quel limite è ormai que­stione di giorni. «L’andamento dei flussi fa pre­vedere che già entro la fine di questa settimana saremo a quota 61mila», avverte Leo Beneduci, segretario del sin­dacato di polizia pe­nitenziaria Osapp. Al sovraffollamento vanno ad aggiun­gersi annose caren­ze strutturali, orga­nizzative e di perso­nale: mancano lo spazio, gli agenti, gli psicologi, i media­tori culturali per gli stranieri (che sono più di un terzo del­l’intera popolazione carceraria), gli edu­catori. I governi che si sono succeduti negli ul­timi anni ne sono consapevoli. Nell’estate 2006 si tentò la strada dell’indulto, che portò alla li­berazione di circa 26mila dei 60mila reclusi di al­lora, ma già nei primissimi giorni del 2008 il di­rettore del Dap Ettore Ferrara fu costretto a ri­conoscere che l’effetto dello sconto generaliz­zato di pena era svanito. E ammonì: «La situa­zione sta diventando irrecuperabile, c’è un ru­binetto aperto che allaga la casa e tutti guarda­no senza intervenire». Il rubinetto ha continua­to a gocciolare e oggi siamo da capo. L’attuale esecutivo ha assicurato che non inten­de stare a guardare e due mesi fa ha varato, con un emendamento al decreto 'milleproroghe', un ambizioso piano carceri che prevede la co­struzione di nuovi istituti e la ristrutturazione di quelli esistenti per realizzare 17mila ulteriori po­sti letto. Per accelerare i tempi è stato nominato un commissario straordinario, il neo-direttore del Dap Franco Ionta, che entro maggio dovrà indicare dove e come costruire. I fondi necessa­ri arriveranno dalla Cassa delle ammende (oltre 150 milioni di euro, che sarebbero stati destina­ti a progetti di reinserimento dei detenuti) e da investimenti di imprese private che, in cambio, riscuoteranno un canone dall’amministrazione penitenziaria. Il commissario straordinario avrà inoltre poteri speciali per accelerare l’edificazione e la ristrut­turazione. Ma l’aspetto più innovativo del pia­no riguarda lo sdoppiamento dei 'circuiti' car­cerari, ha spiegato Ionta: ci saranno prigioni «pe­santi » per «detenuti particolarmente pericolosi, che hanno commesso crimini con violenza», e «leggere» per «coloro che sono considerati a bas­sa pericolosità». I primi saranno ovviamente sot­toposti a «misure di sicurezza particolarmente elevate», per gli altri invece – ha aggiunto il di­rettore del Dap – «si apriranno di più gli spazi di socialità, facendo sì che la cella diventi solo un luogo di riposo». Le carceri «leggere», riservate soprattutto a detenuti in attesa di giudizio per reati meno gravi, potranno anche essere stabili prefabbricati che è possibile impiantare in 8-10 mesi. Nel frattempo, però, la situazione si fa ogni gior­no più grave. La scorsa settimana i senatori Sal­vo Fleres (Popolo della libertà) e Pietro Marce­naro (Partito democratico) hanno visitato i pe­nitenziari siciliani, constatando problemi di o­gni tipo: a Favignana le celle si trovano 7 metri sotto il livello del mare e non hanno finestre; a Catania in pochi metri quadri stanno fino a 13 persone, alcune costrette a dormire in terra per mancanza dei letti; a Palermo quasi non esisto­no le attività rieducative. Mali comuni a gran parte delle carceri, da Nord a Sud. A Torino, nella casa circondariale Lorus­so Cotugno – ha reso noto l’Osapp –, i reclusi sono 1.600 mentre la ca­pienza sarebbe di 923, così molti dormono su materassi sistemati sul pavimento della pale­stra. Bisogna tener con­to, tra l’altro, che oltre 38mila dei 60mila car­cerati sono ancora in at­tesa di giudizio. Quindi, stando alla Costituzio­ne, sono da considerare «non colpevoli» fino al­la condanna definitiva. Tutti però, imputati e condannati, scontano ingiustamente le già ci­tate «pene accessorie» non scritte. In un qua­dro del genere, la riedu­cazione (prevista dalla 'solita' Carta costitu­zionale) è solo un mi­raggio: troppo pochi quelli che in carcere la­vorano o studiano. È di questi giorni l’allarme del Garante dei detenu­ti del Lazio Angiolo Mar­roni: «In tutte le carceri della regione diminui­scono le ore retribuite per i detenuti lavoran­ti ». E le misure alterna­tive al carcere coinvol­gono meno di 15mila persone: poco più di 8mila affidate in prova ai servizi sociali, 1.500 in semilibertà, 4.800 in de­tenzione domiciliare. Troppo spesso pure il diritto alla salute resta sulla carta. E il disagio sfocia in tragedia: Giu­liano D., il ventiquat­trenne con problemi psichici che si è suicida­to tre giorni fa nel car­cere di Velletri, non rap­presenta purtroppo un caso raro.
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