domenica 23 marzo 2025
Dopo le brusche dimissioni a dicembre di Russo le funzioni del Dipartimento sono state affidate a Di Domenico (sostenuta dal ministero) ma la controfirma sul decreto di nomina ancora non arriva
Pressing, dubbi, ritardi: cosa sta succedendo con la nomina del capo del Dap

ANSA

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Sovraffollamento e carenze del personale di sorveglianza sono i malanni cronici delle carceri italiane. I numeri sulle presenze dei detenuti oltre il consentito – dai regolamenti e dal senso di umanità – sono stabili ma rimangono dentro un’emergenza che si aggrava ogni giorno facendo crescere le tensioni dietro le sbarre. Al 28 febbraio scorso, in base ai dati forniti dal Ministero della Giustizia, erano 62.165 le persone ristrette nei 190 istituti di pena, circa 11mila in più rispetto alla capienza prevista, ma ne risultano addirittura 15mila in sovrannumero se si considerano i posti letto effettivamente disponibili. Ci sono celle per 4 persone dove vivono anche in 7 o 8, come accade, per esempio, nel carcere di Foggia, dove lunedì scorso un 39enne, che aveva provato a uccidersi con una lametta alcuni giorni prima, quando era rinchiuso a Sassari, si è impiccato e la famiglia ha presentato una denuncia alla procura perché si faccia chiarezza sul caso. I suicidi continuano con una sequenza impressionante: dal 1° gennaio di quest’anno sono 21 le persone recluse che si sono tolte la vita (5 in meno rispetto allo stesso periodo del 2024, il peggiore della storia del nostro sistema penitenziario per numero di morti). La metà di questi era in attesa di primo giudizio.

Parlare di un “braccio di ferro” sarebbe improprio, tenuti in conto linguaggio e aplomb istituzionale che caratterizzano il Colle più alto delle istituzioni repubblicane. Più corretto, dunque, qualificare ciò che sta avvenendo rispetto all’attesa per la nomina del nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria come uno “stallo” nel confronto fra il Quirinale e via Arenula, dove ha sede il ministero della Giustizia. Un impasse che dura da mesi e che non sarebbe dettato da questioni di puntiglio, quanto piuttosto - secondo quanto ha potuto verificare Avvenire - da una “non convergenza di vedute” fra il Quirinale e il dicastero della Giustizia sul nome da individuare. Ma, per mettere a fuoco la questione, è opportuno partire dal principio.

Le brusche dimissioni di Russo

A dicembre, negli stessi giorni in cui Elisabetta Belloni comunica a Palazzo Chigi di voler rinunciare anzitempo alla direzione del Dis, un altro dirigente pubblico presenta le proprie dimissioni: è Giovanni Russo, magistrato di vaglia, che fa sapere al Guardasigilli Carlo Nordio di voler lasciare la guida del Dap, alla quale si trova solo dal gennaio 2023. Perché lascia? Di voci ne girano tante, si parla di frizioni col sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove, che ha la delega per il Dap. Fra i due - fanno notare al Sappe, sindacato della polizia penitenziaria -, non sarebbe mai scattata particolare sintonia. Ma proprio Delmastro, prima di Natale, smentisce seccamente presunti contrasti con l’uscente: «Certi retroscena non sono veri».

La reggenza di Lina Di Domenico

Sia come sia, Russo lascia il suo ufficio in largo Luigi Daga per andare a fare il consigliere giuridico della Farnesina. Le sue incombenze vengono affidate alla vicecapo del Dap, Lina Di Domenico: già magistrato di sorveglianza a Novara, dal marzo 2023 è numero due del Dipartimento. Lo è per la seconda volta, perché aveva già ricoperto quell’incarico nel 2018-2019. Ed è una “nipote d’arte”: suo zio Giuseppe Falcone (non Giovanni, come scrive qualche quotidiano, incappando in un singolare abbaglio), segnala ancora il Sappe, è stato un «compianto grande magistrato che ha fatto la storia dell’amministrazione penitenziaria», a sua volta vice capo del Dap una trentina d’anni fa e poi reggente.

Il pressing di via Arenula

Per l’esperienza maturata e per le competenze pregresse, quello della Di Domenico diventa, per il sottosegretario Delmastro e per lo stesso Guardasigilli, un profilo valido da proporre per l’upgrade alla guida del Dipartimento (sarebbe la prima donna a farlo). La scelta non trova obiezioni a Palazzo Chigi. Fra gennaio e febbraio, in via Arenula paiono convinti che il curriculum della “candidata” andrà bene. Ma è necessaria un’interlocuzione col Quirinale perché il capo del Dap è «nominato con decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro di grazia e giustizia». Nel frattempo, però, il nome trapela: alcuni quotidiani indicano Di Domenico come candidata in pectore del ministero. E ciò suscita disappunto sul Colle, dove le scelte si è abituati prima a farle e poi a comunicarle, per mettere lo spazio del confronto al riparo da condizionamenti mediatici e politici. A quel punto la decisione viene fatta decantare.

L’impazienza al ministero

E veniamo a questi giorni. Nel dicastero di via Arenula fervono i preparativi per il 208esimo anniversario di fondazione del della Polizia penitenziaria: si montano in piazza del Popolo, gli stand della «cittadella della legalità», dove dopodomani si terranno le celebrazioni. Il nome caldeggiato dai vertici del dicastero è sempre quello. E c’è chi si spinge a ipotizzare che il nodo del Dap possa essere sciolto dal Quirinale con la controfirma del decreto già nella settimana entrante, in concomitanza con le celebrazioni.

Ma il Colle per ora frena: interlocuzione ancora in corso

Tuttavia, una verifica effettuata da Avvenire con fonti qualificate del Quirinale tratteggia una situazione differente: non è solo una mera questione di tempi e di “controfirma”, viene spiegato. Al momento, infatti, l’interlocuzione non porterebbe automaticamente al profilo della Di Domenico. Ci sarebbero anche altri potenziali candidati, sui cui profili al Quirinale si sta facendo una riflessione. Quali? Le fonti quirinalizie, in ossequio al rigoroso riserbo che caratterizza l’agire del Colle, non si pronunciano sui nomi, né forniscono ulteriori elementi di contorno. Ma si tende comunque a escludere che per ora il nodo possa ritenersi sciolto perché, viene ribadito con garbo, «l’interlocuzione è ancora in corso». Bisognerà dunque attendere per vederne il punto di caduta.

L’accelerata (su imput di Meloni) sull’edilizia penitenziaria

E mentre cresce l’attesa, il ministro Nordio cerca di far fronte alle fibrillazioni del mondo carcerario, legate al sovraffollamento, all’inadeguatezza delle strutture e segnato dall’alto numero di suicidi. Ha incontrato il Garante nazionale per i detenuti e quelli regionali, che gli hanno sottoposto «la delicata questione degli istituti penitenziari per minori» e ha firmato il decreto che assegna al Dap un milione di euro per «l’accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case famiglia protette». Era ora, punzecchia dall’opposizione la responsabile giustizia del Pd, Debora Serracchiani, «ma non basta per lavarsi la coscienza. Pensi piuttosto a eliminare la norma del ddl Sicurezza, che prevede che mamme e bambini finiscano in carcere e non in case protette». A battere un colpo è pure il commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria Mario Doglio, avviando la gara per realizzare nel 2025 altri «384 nuovi posti detentivi in 9 penitenziari di 7 regioni, con una spesa di 32 milioni di euro». Il 5 febbraio, in un vertice a Palazzo Chigi, la premier gli aveva chiesto di accelerare sul piano per aggiungere 7mila posti tabellari ai 50mila attuali. Da allora, ogni 15 giorni, Meloni s’informa su come vanno le cose. Lei è la prima a non volere rallentamenti su un percorso che ritiene cruciale.

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