Il quadro c’è, ma i particolari di alcune norme cardine vanno ancora definiti. È quanto trapela dai "tecnici" dei tre ministeri dell’Interno, della Giustizia e della Pubblica amministrazione, che in queste ore continuano a confrontarsi sul contenuto della delega per l’incandidabilità. Fra gli snodi fondamentali, ancora da determinare, ci sarebbero la durata dell’incandidabilità ed i reati da aggiungere a quelli già previsti dalla legge delega quali "ostativi" alla candidatura. La versione completa del provvedimento potrebbe arrivare giovedì, quando i tre ministri, Anna Maria Cancellieri, Paola Severino e Filippo Patroni Griffi, terranno una riunione ad hoc, così da «chiudere il cerchio entro questa settimana», come ha auspicato ieri la titolare del Viminale. Una tabella di marcia che porterebbe il testo sul tavolo del Consiglio dei ministri entro la prossima settimana.Per quanto riguarda le norme in via di scrittura, la delega individua tre tipologie di reati (compresi alcuni "di allarme sociale") come motivo di incandidabilità al Parlamento, italiano ed europeo, alle elezioni regionali, provinciali e comunali (oltre che di divieto di ricoprire cariche di vertice in consorzi, unioni di comuni, aziende speciali, comunità montane). Si tratta dei reati di tipo associativo (mafia, associazione a delinquere), di terrorismo e contro la pubblica amministrazione. L’altolà scatterebbe qualora il potenziale candidato abbia subito una condanna definitiva a pene sopra i due anni di reclusione. La norma prevede anche la decadenza dalla carica degli eventuali eletti. Al momento, i tecnici dei ministeri stanno lavorando ad un eventuale ampliamento del ventaglio di reati: tra le ultime ipotesi, di comprendere reati «turpi» come la pedofilia, nonché quelli di falso. Circa la durata del divieto, la delega afferma che debba essere «temporanea», ma ancora si lavora su varie ipotesi: una durata doppia rispetto alla condanna ricevuta (8 anni se la condanna è a 4) oppure un termine unico di 10 anni.Nodi che saranno sciolti dopo la riunione di giovedì e troveranno forma definitiva nel testo che il Cdm varerà fra una decina di giorni. In seguito, le commissioni parlamentari avranno due mesi di tempo per pronunciarsi sul testo con un parere che non sarà però vincolante. Il provvedimento potrebbe così essere in vigore già alle prossime elezioni regionali in Lazio, Lombardia e Molise e quindi alle politiche di primavera. Intanto, il provvedimento affronterà il fuoco di sbarramento delle forze politiche, che pur plaudendo, avanzano distinguo. Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, osserva come tocchi ai partiti «darsi da soli la soglia di accesso alle candidature, come abbiamo fatto noi» e «mettere un tetto oltre il quale scatta incandidabilità, anche solo con sentenza di primo grado». Linea dura anche da parte del segretario della Lega Nord, Roberto Maroni: «D’accordo sulle liste pulite, applicheremo la ramazza anche se il decreto del governo non sarà operativo», scrive su <+corsivo>twitter<+tondo>. C’è poi chi invece prende tempo, come il leader Idv, Antonio Di Pietro («Voglio verificare il testo») mentre Roberto Rao (Udc) ripete: la «norma deve essere un punto di partenza». Nel Pdl si chiede che la condanna definitiva sia il metro del «giusto garantismo» e c’è chi assicura che del tema si sarebbe parlato anche in un colloquio tra il segretario, Angelino Alfano, e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Dal Colle, nessuna conferma. Ma non c’è dubbio che la questione della "pulizia delle liste" resti una priorità per il Quirinale.