Ci sono sempre bambini scalzi in mezzo ai rifiuti, anche quando sono sepolti e bruciano come nella Terra dei fuochi. Che, sepolti, col caldo esalano miasmi soffocanti in aree prive di acqua e ricche di pantegane. E gli adulti hanno più difficoltà a lavorare causa crisi, mentre gli adolescenti ormai fuori dalla scuola rischiano di venire reclutati dalla malavita organizzata a Roma, Milano e a Napoli, dove la mala si chiama camorra.Nulla di nuovo arriva quest’estate dai campi rom italiani, anomalia europea frutto dell’incuria di decenni e che, autorizzati o illegali, andrebbero chiusi per tirare la riga sopra una lunga stagione di emarginazione e disagi per tutti, compresi gli italiani che vivono accanto agli insediamenti. «Anche in Italia abbiamo le periferie della Terra – spiega don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità voluta dal cardinale Martini a Milano, da anni in prima linea con i rom – che il Papa chiede di abitare. Noi ci stiamo in mezzo e da anni ospitiamo nuclei familiari sgomberati nel villaggio solidale di Parco Lambro». Il superamento attraverso piccole comunità o con alloggi popolari per chi ne ha diritto è sostenuto da anni dalle organizzazioni cattoliche che lavorano con le popolazioni romanes, ma la politica finora ha fatto poco per andare oltre gli accampamenti sorti come soluzione transitoria in aree di estremo degrado per rispondere alle ondate provenienti dai Balcani e poi dalla Romania e divenuti stanziali. La crisi non risparmia i rom. Per la maggior parte in Italia raccolgono rottami ferrosi, ma Paolo Ciani della Comunità di Sant’Egidio specifica che «c’è un problema nazionale di cui non si parla e da tenere distinto dai furti di rame, che vanno naturalmente puniti». È la normativa vigente che richiede la tracciabilità dei rifiuti e penalizza i rom. «Non perché operino illegalmente – prosegue – ma perché raccolgono il ferro magari per strada per conto di grandi rottamatori i quali rivendono il metallo a grandi aziende del Nord. Viene richiesta dalla burocrazia una trafila complessa che semplici padroncini con partita Iva e scarsa scolarità non riescono ad assolvere». Così nei campi diminuiscono le alternative all’illegalità, aggiungendosi alle difficoltà abitative e di frequenza scolastica dei bambini, ai problemi sanitari e igienici. Eppure stiamo parlando di una popolazione stimata tra le 100 e le 150mila persone, tra le percentuali più basse (0,3%) di rom nella Ue nonostante nell’ultimo decennio i politici abbiano gridato a un’invasione che non c’è stata. A Roma dopo gli spostamenti dei campi operati dalla precedente giunta oltre il raccordo anulare in condizioni precarie, la rabbia negli accampamenti è alta perché le promesse non sarebbero state mantenute. Sant’Egidio, che sta effettuando il tradizionale censimento estivo dei minori iscritti a scuola con riscontri positivi, ha già incontrato la nuova giunta e ne attende i primi passi. Ma l’area più calda è storicamente Napoli. In città e provincia nei 13 campi autorizzati, quelli abusivi non sono censiti, vivono almeno 5mila persone, tre quarti di origine balcanica, il resto romeni, con rapporti interetnici non facili. Dopo i pogrom di qualche anno fa, effettuati con la regia dei clan per sloggiare aree edificabili, e dopo che i rom furono usati dalla camorra per bruciare i rifiuti nella famosa estate del 2008, la situazione è sempre tesa. Per conto della Caritas diocesana, che insieme a Sant’Egidio ha aderito al comitato campano per i rom di padre Alex Zanotelli, da due anni segue la questione rom Jacopo Pierno «Il degrado e le condizioni igienico-sanitarie – spiega – sono insopportabili, sia nei due insediamenti delle zone semicentrali della città, ad esempio nell’ex scuola Deledda, sia nelle periferie degradate in mano alla camorra come Scampia e Barra, dove spesso i giovani rischiano di diventare manodopera dei clan. Nella Terra dei fuochi a Giugliano, dopo un anno mezzo dallo sgombero da un campo di rifiuti tossici, 550 rom sono stati mandati in un’altra discarica a respirare il biogas che si sprigiona dal terreno la sera»Infine Milano, “condannata” per la situazione dei campi poco più di un anno fa da Amnesty International, dove l’assessore alla sicurezza Marco Granelli sta per la prima volta smantellando gli insediamenti abusivi (concordandoli) e quelli regolari (anche causa Expo) mandando le famiglie in strutture di transito prima di trovare alloggi.«La strada – conclude don Colmegna – è superare i campi attraverso patti di legalità. Ci sono ancora i fondi cosiddetti Maroni, svariati milioni di euro, da impiegare. Ma serve più coraggio anche dalle associazioni. Noi vogliamo lanciare una ricerca sulla salute dei rom. L’aspettativa di vita media di chi vive nei campi, e spesso siamo alla terza generazione, è 60 anni». Inaccettabile persino nelle periferie dimenticate, così vicine all’inferno.