Sul
Corriere dell’11 febbraio il legale di Beppino Englaro, Giuseppe Campeis, esordisce con una professione di fede nella legalità di tipo asburgico, dichiarando di illudersi di vivere in un Paese «dove le sentenze si rispettano, dove c’è la separazione tra i poteri». Dopo una non richiesta professione di fede cattolica, sostiene poi che «questa era una battaglia di diritto». Poco oltre ci viene tuttavia spiegato cosa l’avvocato Campeis intenda per stato di diritto, chiarendoci il ruolo nella vicenda di Gabriele Renzulli, definito «mente eccelsa» della politica friulana, particolarmente in campo sanitario. «Senza di lui – dice il legale – io non ce l’avrei fatta a muovermi nei meandri della sanità friulana ». È Renzulli che disegna il percorso per uscire dalla potestà regionale, e indica «La Quiete» come la soluzione migliore. L’avvocato ci fa anche sapere che entrambi i direttori sanitari erano fortemente contrari, e che il disegno di Renzulli ha potuto realizzarsi grazie alla decisiva «volontà del sindaco di Udine, Furio Honsell». Dopo aver apprezzato la dirittura morale del sindaco, l’avvocato ci rende noto che il sindaco «ha fatto pressioni, in qualche modo è riuscito a imporre l’arrivo di Eluana». Dunque, nello stato di diritto invocato da Campeis – quello asburgico per intenderci – è lecito e suscita ammirazione il fatto che una mente eccelsa della politica insegni come bypassare i meandri della sanità friulana e che un sindaco faccia pressioni per imporre l’arrivo di Eluana ai direttori sanitari che si opponevano. Il resto ci è stato rivelato da Tommaso Cerno sul
Messaggero Veneto del 12 febbraio. La strategia eutanasica viene disegnata tempo fa a cena in un ristorante vicino a Udine, degustando piatti della cucina tipica regionale che richiamano al signor Englaro i sapori dell’infanzia. Devono essere un debole, da quelle parti, le cene. Insieme a Beppino ci sono il senatore Ferruccio Saro (Pdl), la mente eccelsa Gabriele Renzulli, il dottor De Monte, capo dell’équipe che si occuperà di Eluana a Udine. Il gruppo si salda presto con il governatore della Regione Renzo Tondo (di centrodestra) e con l’avvocato Campeis, riuscendo successivamente a cooptare il sindaco (di centrosinistra) e a blandire il voto decisivo di un consigliere della «Quiete» con aspirazioni di carriera. Il gioco è fatto, lo "stato di diritto" – sempre quello asburgico, beninteso – è blindato. Contro un simile gruppo di potere non ci sono esposti o segnalazioni d’irregolarità che possano far breccia, si spuntano anche le perplessità di assessori regionali come Kosic e Seganti e la resistenza dell’assessore comunale ai Servizi sociali, Barillari, dimissionario dopo la morte della giovane. A nulla possono perfino i rilievi dei Nas e degli ispettori inviati dal ministro Sacconi. Nei giorni che precedono la drammatica fine della vicenda, Tondo passa ore in riunione a fare quella che in gergo calcistico si chiama "melina", mentre all’interno de «La Quiete» la tragedia si consuma, in una corsa contro il tempo tra protocollo "assistenziale" e tardiva solerzia del Parlamento. Eluana ora è morta, ma nessuno ha spiegato come un decreto di Corte d’Appello che autorizzava la sola sospensione dell’alimentazione e idratazione a mezzo sondino naso-gastrico abbia potuto essere stravolto fino a venire interpretato come un’autorizzazione a portare a morte la giovane donna, né come un decreto di volontaria giurisdizione abbia potuto essere presentato scorrettamente come «una sentenza passata in giudicato » perfino dal dottor Deidda, procuratore generale di Trieste fino all’altro ieri, quando con puntualità svizzera (o asburgica?) ha traslocato a Firenze con lo stesso incarico. Nessuno ha chiarito come sia possibile che una persona accolta dalla sanità regionale per un «piano di assistenza individuale» (approvato dall’Azienda sanitaria in data 3 febbraio), e non per l’applicazione del protocollo di disidratazione, sia potuta morire il giorno 9 per un disegno predeterminato, la cui contraddizione con quanto autorizzato e con la stessa convenzione operante tra Azienda sanitaria e Casa di riposo «La Quiete» era stata contestata dall’Azienda sanitaria ancora in data 6 febbraio. Nessuno ha risposto al quesito se esistano precedenti da parte di istituzioni sanitarie pubbliche nell’affidamento di pazienti "per cure" ad associazioni costituite con scritture private. Nonostante le ripetute richieste, resta un mistero la natura giuridica della struttura allestita con scrittura privata dal dottor De Monte all’interno della "Quiete". Se, infatti, essa operava nell’àmbito delle autorizzazioni date alla "Quiete", non si comprende come abbia potuto evadere l’atto di indirizzo del ministro Sacconi. Se invece De Monte aveva realizzato un’unità di degenza affittando spazi presso "La Quiete", non si comprende come abbia potuto continuare a operare abusivamente, in assenza delle necessarie autorizzazioni sanitarie, senza le quali un medico non può attivare un’unità di degenza nemmeno in casa propria, non prevedendosi al riguardo patenti di extraterritorialità nemmeno per le menti eccelse della sanità friulana. Infine, nessuno ha chiarito come, dove e quando il nefasto protocollo di De Monte sia stato depositato e perché esso non sia passato alla valutazione del Comitato etico territorialmente competente. A cose fatte, per non essere noi – e non l’avvocato Campeis – a perdere ogni fiducia nello stato di diritto, siamo costretti a chiedere che in altra sede e da autorità sovraordinate venga raccolto il contenuto degli esposti presentati dal Coordinamento friulano «Per Eluana e per tutti noi». Solo con gli "aiuti" descritti dal legale è stato possibile superare tutti gli ostacoli legali che impedivano la morte.