sabato 14 febbraio 2009
L’avvocato friulano ricostruisce la trafila che ha portato alla morte di Eluana svelando pressioni e accordi trasversali pro eutanasia.
COMMENTA E CONDIVIDI
Sul Corriere dell’11 febbraio il legale di Beppino Englaro, Giuseppe Campeis, esordisce con una professione di fede nella legalità di tipo asburgi­co, dichiarando di illudersi di vivere in un Paese «do­ve le sentenze si rispettano, dove c’è la separazione tra i poteri». Dopo una non richiesta professione di fede cattolica, sostiene poi che «questa era una battaglia di diritto». Poco oltre ci viene tuttavia spiegato cosa l’avvocato Campeis intenda per stato di diritto, chiarendoci il ruo­lo nella vicenda di Gabriele Renzulli, definito «mente eccelsa» della politica friulana, particolarmente in cam­po sanitario. «Senza di lui – dice il legale – io non ce l’a­vrei fatta a muovermi nei meandri della sanità friula­na ». È Renzulli che disegna il percorso per uscire dal­la potestà regionale, e indica «La Quiete» come la so­luzione migliore. L’avvocato ci fa anche sapere che en­trambi i direttori sanitari erano for­temente contrari, e che il disegno di Renzulli ha potuto realizzarsi gra­zie alla decisiva «volontà del sinda­co di Udine, Furio Honsell». Dopo aver apprezzato la dirittura mora­le del sindaco, l’avvocato ci rende noto che il sindaco «ha fatto pres­sioni, in qualche modo è riuscito a imporre l’arrivo di Eluana». Dunque, nello stato di diritto invocato da Campeis – quello asburgico per intenderci – è lecito e suscita am­mirazione il fatto che una mente eccelsa della politi­ca insegni come bypassare i meandri della sanità friu­lana e che un sindaco faccia pressioni per imporre l’ar­rivo di Eluana ai direttori sanitari che si opponevano. Il resto ci è stato rivelato da Tommaso Cerno sul Mes­saggero Veneto del 12 febbraio. La strategia eutanasica viene disegnata tempo fa a cena in un ristorante vici­no a Udine, degustando piatti della cucina tipica re­gionale che richiamano al signor Englaro i sapori del­l’infanzia. Devono essere un debole, da quelle parti, le cene. Insieme a Beppino ci sono il senatore Ferruccio Saro (Pdl), la mente eccelsa Gabriele Renzulli, il dottor De Monte, capo dell’équipe che si occuperà di Eluana a Udine. Il gruppo si salda presto con il governatore del­la Regione Renzo Tondo (di centrodestra) e con l’av­vocato Campeis, riuscendo successivamente a coop­tare il sindaco (di centrosinistra) e a blandire il voto de­cisivo di un consigliere della «Quiete» con aspirazioni di carriera. Il gioco è fatto, lo "stato di diritto" – sempre quello a­sburgico, beninteso – è blindato. Contro un simile grup­po di potere non ci sono esposti o segnalazioni d’irre­golarità che possano far breccia, si spuntano anche le perplessità di assessori regionali come Kosic e Segan­ti e la resistenza dell’assessore comunale ai Servizi so­ciali, Barillari, dimissionario dopo la morte della gio­vane. A nulla possono perfino i rilievi dei Nas e degli i­spettori inviati dal ministro Sacconi. Nei giorni che precedono la drammatica fine della vi­cenda, Tondo passa ore in riunione a fare quella che in gergo calcistico si chiama "melina", mentre all’in­terno de «La Quiete» la tragedia si consuma, in una corsa contro il tempo tra protocollo "assistenziale" e tardiva solerzia del Parlamento. Eluana ora è morta, ma nessuno ha spiegato come un decreto di Corte d’Appello che autorizzava la sola so­spensione dell’alimentazione e idratazione a mezzo sondino naso-gastrico abbia potuto essere stravolto fino a venire interpretato come un’autorizzazione a portare a morte la giovane donna, né come un decreto di volontaria giurisdizione abbia potuto essere presen­tato scorrettamente come «una sentenza passata in giu­dicato » perfino dal dottor Deidda, procuratore genera­le di Trieste fino all’altro ieri, quando con puntualità svizzera (o asburgica?) ha traslocato a Firenze con lo stesso incarico. Nessuno ha chiarito come sia possibile che una per­sona accolta dalla sanità regionale per un «piano di assistenza individuale» (approvato dall’Azienda sa­nitaria in data 3 febbraio), e non per l’applicazione del protocollo di disidratazione, sia potuta morire il giorno 9 per un disegno predeterminato, la cui contraddizione con quanto autorizzato e con la stessa convenzione operante tra Azienda sanitaria e Casa di riposo «La Quiete» era stata contestata dall’Azienda sanitaria ancora in data 6 febbraio. Nessuno ha risposto al quesito se esistano prece­denti da parte di istituzioni sanitarie pubbliche nel­l’affidamento di pazienti "per cure" ad associazio­ni costituite con scritture private. Nonostante le ripetute richieste, resta un mistero la natura giuridica della struttura allestita con scrittu­ra privata dal dottor De Monte all’interno della "Quie­te". Se, infatti, essa operava nell’àmbito delle autoriz­zazioni date alla "Quiete", non si comprende come ab­bia potuto evadere l’atto di indirizzo del ministro Sac­coni. Se invece De Monte aveva realizzato un’unità di degenza affittando spazi presso "La Quiete", non si comprende come abbia potuto continuare a operare abusivamente, in assenza delle necessarie autorizza­zioni sanitarie, senza le quali un medico non può at­tivare un’unità di degenza nemmeno in casa propria, non prevedendosi al riguardo patenti di extraterrito­rialità nemmeno per le menti eccelse della sanità friu­lana. Infine, nessuno ha chiarito come, dove e quando il ne­fasto protocollo di De Monte sia stato depositato e per­ché esso non sia passato alla valutazione del Comita­to etico territorialmente competente. A cose fatte, per non essere noi – e non l’avvocato Cam­peis – a perdere ogni fiducia nello stato di diritto, sia­mo costretti a chiedere che in altra sede e da autorità sovraordinate venga raccolto il contenuto degli espo­sti presentati dal Coordinamento friulano «Per Elua­na e per tutti noi». Solo con gli "aiuti" descritti dal legale è stato possibile superare tutti gli ostacoli legali che impedivano la morte.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: