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Il campo largo? « È un pericolo per l’Italia». L’autonomia? «Sbagliata, ma il Sud stia attento a non usarla come un alibi». Carlo Calenda, leader di Azione, è abituato a giudizi netti. E a tracciare un quadro sconsolato della situazione politica, come fa al termine di questo agosto di piroette e discussioni a vuoto: « La politica oggi è come uno stadio dove le tribune si svuotano – lo prova l’astensione crescente e rimangono solo le curve che passano il tempo a offendersi. Noi di Azione ci opponiamo a questo scadimento».
Cosa pensa innanzitutto degli esiti del vertice di maggioranza di venerdì?
Ha dimostrato che manca una linea di politica estera e che c’è un grande caos sulla manovra. Sul primo punto pesa una Lega filo putiniana, che deve far finta però di andare d’accordo con FdI e FI.
E del giallo della doppia nota della Lega, poi corretta, sul sostegno, parziale, a Kiev?
Dobbiamo dire le cose come stanno: la Lega è - al pari di Orban - una quinta colonna della Russia in Europa e deve rassicurare Putin. E questo creerà problemi nella maggioranza.
Diceva della manovra.
Temo che l’unica cosa che faranno è confermare le riduzioni fiscali del 2024. Mancano però, come priorità, 10 miliardi necessari per tenere in piedi il servizio sanitario nazionale, oberato a causa dell’invecchiamento della popolazione, con metà delle prestazioni erogate con fortissimi ritardi. Sono urgenti, per averli sarei anche disposto a rinunciare al taglio del cuneo fiscale.
Voi dell’opposizione come reagirete?
Il guaio è che non si riesce a fare un coordinamento come opposizioni, perché gli altri partiti fanno proprio come Meloni quand’era all’opposizione: vogliono tutto a parole – meno tasse, più pensioni, più fondi per i contratti pubblici e la scuola, ecc. – e non fissano priorità. E’ il meccanismo del populismo, ovunque esso sia.
Lei ha proposto un emendamento sullo ius scholae. Vedrà la luce?
Non se ne farà nulla. Guardiamo l’abiezione di una situazione in cui, dopo aver passato l’estate a parlare di ius scholae, ora Forza Italia dice “sì, ma non ora, vedremo in Parlamento” e il Pd torna a dire “sì, ma meglio lo ius soli”. È lo stesso schema di Meloni che nel 2019 non era contraria al salario minimo, poi – una volta al governo – ha detto no perché lo chiedevano gli altri. Il fatto è che dobbiamo farla finita con questa pseudo-guerra civile fra destra e sinistra che si tirano pietre. Per questo continuiamo a costruire un’area di centro che pratichi un linguaggio di pacificazione e di buon senso.
Fitto commissario europeo per l’Italia va bene?
Fitto è un moderato, un democristiano che fa finta di stare in FdI, era l’unico insieme a Giorgetti che poteva andare lì. L’Italia deve avere nella Commissione Ue un ruolo di prima importanza. Il problema è che Meloni ha ridotto ai minimi termini i rapporti coi leader di Germania, Spagna e Francia perché li considera avversari politici, non ha capito che sono più importanti i rapporti fra le nazioni.
Torniamo alla guerra. Lei è il più netto sulla linea pro-Ucraina. Però è anche vero che siamo a ben trenta mesi di conflitto e non si vedono prospettive.
Non siamo noi a decidere, solo gli ucraini possono dire se è l’ora di trattare. Non ne faccio una questione ideologica o morale, ma di real politik: la lesione dell’unità territoriale di uno Stato è un problema per tutti noi europei. Se non fermiamo Putin, penserà che può continuare a invadere Paesi, i dittatori fanno così.
Cosa teme di più alla ripresa?
Sono pessimista, sul piano storico. Viviamo un ciclo di crisi mai vissuto in 80 anni dalle democrazie occidentali: la violenza del dibattito politico negli Usa, le proteste anti-immigrati in Gran Bretagna, il peso crescente di Afd in Germania. Ed è una crisi che si nutre anche di giganteschi squilibri nella distribuzione della ricchezza. Dove se sei un ricco imprenditore puoi prenderti a esempio una garanzia pubblica e poi smantellare l’azienda nel silenzio generale, anche della sinistra, perché intanto ti compri i giornali di area. Il rancore sociale si farà sempre più forte.
Conferma che Azione non è interessata al campo largo?
Sì. Dico anzi che è un pericolo per l’Italia, perché manca un’agenda di governo condivisa. Di Schlein non si sa, al di là degli slogan, cosa pensi realmente di tante cose. Cosa pensa del lavoro, se torna a parlare con Renzi? Cosa pensa della politica estera, se dialoga con Conte? Staranno insieme i mesi della campagna elettorale per poi tornare a litigare, come quando si definivano l’un l’altro il male assoluto. Anzi, stavolta già lo fanno. E faranno crescere la lista della spesa: si può scordare che, per dire sì ai quasi 200 miliardi di bonus voluti dai 5 stelle, i dem hanno accettato consapevolmente di sfasciare il bilancio pubblico per 10 anni? E a livello locale? Appoggiamo i candidati validi, come in Emilia-Romagna e Umbria. In Liguria è diverso, abbiamo chiesto certezze sugli investimenti in opere pubbliche. Stiamo discutendo, è probabile che non si arrivi a un accordo perché non vedo un progetto di governo che non sia quello di gridare al “centrodestra di ladri”.
Ma come si spiega che Schlein abbia riaperto il dialogo con Renzi?
Perché buttano tutto dentro, è il loro modo di fare. L’abbiamo visto anche nelle liste europee. Pensavo di essere l’ultimo “pirla” a essersi fidato di Renzi, sono contento ora di scoprirmi il penultimo.
Dentro Iv c’è un dibattito aperto. E se si arrivasse a una spaccatura?
Porte aperte a chiunque voglia fare un dibattito serio. Abbiamo appena ricordato De Gasperi, icona del centro come luogo di ragionevolezza e buon governo, lontano dagli intolleranti.
Si fa sempre un gran parlare di autonomia regionale.
È sbagliata, ma pure qui bisogna essere onesti: è una fesseria totale avviata dal centrosinistra – lo ricordo bene perché facevo il ministro -, dal governo Gentiloni, quando la voleva pure Bonaccini solo perché “andava di moda” e occorreva seguire Veneto e Lombardia. Si facevano le intese con le Regioni senza nemmeno finanziare i Lep. Ed era, quello, un modello anche più hard di quello attuale di Calderoli. Ma aggiungo che dobbiamo stare molto attenti a non usarla nemmeno come un alibi, specie dai governatori del Sud: non si racconti che il problema del Sud è l’autonomia, perché oggi non c’è, eppure abbiamo una sanità allo sfascio, reti idriche che sono un colabrodo, per colpa di una politica ridotta a feudalesimo. Lo so bene io, che tante volte vengo avvicinato da “signori delle tessere” che al Sud proliferano. Dobbiamo prendere atto: al Sud il federalismo ha fallito e, anzi, lo Stato deve riprendersi tutte le competenze al centro.