«Quella ragazza lì». Basta poco per discriminare. 'Quella ragazza lì' è una donna di 37 anni, con sindrome di Down, di Ferrara. Ha prestato servizio per 8 anni in una scuola e da 6 lavora in un asilo nido della città senza che nessuno – afferma la direzione del nido – si sia mai lamentato. Ma che «quella ragazza lì» abbia la sindrome di Down a una madre sembra essere stata la ragione sufficiente per ritirare la propria figlia di 10 mesi. La storia è stata raccolta dal quotidiano locale
La nuova Ferrara. A raccontarla è la direttrice che, si è appreso poi, è anche la sorella della donna. Nessun commento è al momento arrivato dalle famiglia della piccola. La mamma ha iniziato il percorso di inserimento lunedì e martedì, restando nel nido con la bambina per due ore. Mercoledì, però non si sarebbe presentata. «La signora mi ha telefonato alle 8 – ha riferito la responsabile dell’asilo – per chiedermi con tono alterato perché non le avevo comunicato che nel nido lavorava 'quella ragazza lì'», cosa di cui invece, secondo la direttrice «era al corrente». La responsabile ha invitato la madre a passare per discuterne di persona. «Quando le ho chiesto di spiegarmi qual era il problema, mi ha detto che non voleva che sua figlia stesse nell’asilo con 'quella ragazza'». Non sarebbero stati aggiunti insulti «ma ritengo – prosegue la direttrice – che quelle parole esprimano un atteggiamento inaccettabile verso una persona autonoma, preparata per svolgere i compiti che le sono stati assegnati». Compiti che consisterebbero nell’assistenza alle tre educatrici che curano i sette piccoli dell’asilo, ad esempio al momento del cambio dei pannolini, e nella pulizia dei locali. «È un’ausiliaria, non gestisce direttamente i bambini. La donna è arrivata dopo che un centro specializzato nell’inserimento lavorativo delle persone con sindrome di Down, il Cepim di Genova, ha approvato il progetto». La vicenda ha suscitato lo sdegno di chi si occupa dell’inserimento lavorativo delle persone Down, una pratica codificata in una legge del 1999. «Pensare nel 2015 che una persona con la sindrome di Down non possa lavorare è semplicemente senza senso – ha detto Aldo Moretti, direttore del Cepim, chiamato in causa – Se un bimbo può correre dei pericoli, quelli non vengono certo da chi ha la sindrome di Down». L’idoneità al lavoro è infatti rilasciata dalle Asl mentre «noi effetuiamo test sulle competenze e la capacità di resistenza allo stress». «Ci battiamo per autonomia e inclusione poi tutto si sgretola davanti a episodi come questo» ha detto Maria Teresa Graziani, presidente dell’associazione Lo Specchio: «il percorso per l’inserimento lavorativo è lungo e complesso. I controlli sono così severi che se una persona disabile lavora è perché è tranquillamente in grado di farlo».