venerdì 14 giugno 2024
Ad oggi il valore medio di un ticket è di 6.75 euro, cifra che copre dal 50% all’80% della spesa per un pranzo. Così 9 italiani su 10 li usa per fare la spesa
I ticket sempre più spesso vengono utilizzati per fare la spesa, non solo in Italia

I ticket sempre più spesso vengono utilizzati per fare la spesa, non solo in Italia - Ansa

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Sono sempre più le aziende che scelgono di fornire ai propri dipendenti i buoni pasto. Ma, da un’indagine, emerge che ormai un solo buono pasto non basta a coprire la spesa per la pausa pranzo. La ricerca “L’impatto sociale ed economico dei buoni pasto”, promossa dall’Associazione nazionale società emettitrici buoni pasto (Anseb) in collaborazione con Altis Graduate School of Sustainable Management dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha portato alla luce questi e molti altri aspetti. Ad oggi, il valore medio di un ticket è di 6,75 euro, cifra che, secondo il 66% degli utenti intervistati, copre dal 50% all’80% della spesa per un pasto. È questo uno dei motivi per cui quasi nove italiani su dieci (l’89%) sceglie di utilizzare i buoni pasto per la spesa. «C'è stato un incremento di questo mercato negli ultimi anni con un allargamento costituito sia dalle grandi aziende, ma sempre più anche da quelle medie e piccole. Hanno capito che questo tipo di strumento è apprezzato. Notiamo che una retribuzione che non sia costituita solamente da denaro, ma anche dai cosiddetti beni e servizi è molto apprezzata, proprio perché c'è questa sensazione da parte del lavoratore di un'attenzione maggiore dell’azienda per il suo benessere» spiega Davide Scaramuzza, direttore della divisione Welfare Solutions di Pellegrini, una delle cinque aziende che hanno preso parte all’indagine. Il 62% del campione esprime un livello di soddisfazione medio o alto in relazione al buono pasto, soprattutto per la sua spendibilità in diversi canali: i più soddisfatti sono gli under 35.

Nella ricerca sono stati portati alla luce due aspetti. Il primo è l'incremento della spesa alimentare per famiglia che si è registrato negli ultimi anni, in particolare dopo la pandemia, dovuto all’aumento dei prezzi di molte materie prime. Secondo, negli ultimi trent’anni circa, per una forte stagnazione che si riscontra in Italia, i salari hanno diminuito il loro potere d'acquisto. La combinazione di questi due elementi ha fatto sì che le famiglie si siano impoverite. Di conseguenza, strumenti come il buono pasto, che incidono in misura concreta sulla spesa familiare, sono sempre più reputati un aiuto concreto alle famiglie. Se infatti, tra il 2020 e il 2021, l’alta percentuale di smart working ha fatto sì che il 95% dei buoni pasto finisse nei canali della grande distribuzione, sembra difficile immaginare un ritorno a quei valori (65-70%), che si registravano prima della pandemia. Tra chi sceglie di utilizzare il buono pasto per la spesa, c’è anche chi lo fa per necessità, a causa della mancanza di bar o ristoranti vicino al luogo di lavoro, soprattutto nel Sud Italia.

In una scala da uno a cinque, quattro lavoratori ritengono il buono pasto un “diritto”, da tenere ben distinto dallo stipendio in busta paga. L’opinione dei consumatori è divisa fra chi vorrebbe che l’importo dei buoni pasto venisse accreditato con lo stipendio e chi preme per mantenere la situazione attuale. Di questo avviso è anche Scaramuzza: «Mettere i buoni pasto in busta paga è una richiesta abbastanza miope perché non tiene in considerazione gli effetti di medio-lungo periodo. Nel senso che la cosiddetta “voucherizzazione” di alcuni aspetti della busta paga ha innanzitutto un aspetto di cuneo fiscale importante per le aziende. Poi, c’è da dire che adesso rimane un elemento anche di trattativa importante per i lavoratori, perché non si perde tra le tante righe della busta paga. Noi da un legislatore attento ci aspettiamo un effetto opposto, cioè che anche altri servizi vengano “voucherizzati” proprio perché questo dà la possibilità di stimolare dei consumi virtuosi».

Dal punto di vista degli esercenti, card e app sono ritenute garanzia di maggiore incasso (51% del campione), ma il loro utilizzo risulta soddisfacente solo per il 39% (a causa di rallentamenti sulle linee, della necessità di utilizzare più Pos, dei tempi di rimborso). A questo tema, se ne affianca anche uno di sostenibilità. Così conclude Davide Scaramuzza: «Il passaggio al buono pasto in formato digitale è avvenuto nel 2015. Noi come Pellegrini abbiamo introdotto una card in plastica biodegradabile all’85%. Proponiamo anche di partire senza utilizzare la tessera e usare un'applicazione per la spesa del buono pasto. Poi, se eventualmente l'utente desidera per qualche motivo avere la card, gli può essere fornita».

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