lunedì 20 luglio 2009
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È polemica sull'anniversario della morte del giudice antimafia Borsellino, ucciso 17 anni fa nella strage di via D'Amelio, a Palermo. Dopo le critiche della famiglia agli abitanti del capoluogo siculo, che hanno risposto con scarsissima partecipazione alle celebrazioni, e persino alle autorità e allo Stato, accusati di aver abbandonato la famiglia dalla sorella Rita, è stata la volta della bufera sul caso giudiziario, e delle rivelazioni di del boss Totò Riina dal carcere, che parlando col suo avvocato si è detto estraneo al delitto e ha accusato le istituzioni di essere dietro la strage.  Mancino: «Nessuna colluzione con Cosa Nostra». Immediate le repliche. Prima quella di Nicola Mancino: la presunta trattativa tra Stato e mafia "noi l'abbiamo sempre respinta. L'abbiamo respinta anche come semplice ipotesi di alleggerimento dello scontro con lo Stato portato avanti dalla mafia. La riprova di tutto questo sta nella politica di fermezza adottata dal precedente governo e da quello in cui ero responsabile del Viminale". Mancino, oggi vicepresidente del Csm e ministro dell'Interno dal 1992 al 1994, durante il periodo in cui la mafia uccise Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, assicura che le istituzioni non hanno mai trattato una sorta di tregua con Cosa nostra. E respinge le insinuazioni di chi lo accusa di aver saputo con giorni di anticipo della cattura del boss Totò Riina prima che questa avvenisse: "Io non ero a conoscenza della cattura di Riina, come lui afferma, una settimana prima. Era solo un auspicio, ma anche una precisa direttiva impartita a tutte le forze dell'ordine con l'urgenza che la situazione richiedeva" e poi, aggiunge: "Se fossi stato al corrente dell'imminente arresto sarei stato così ingenuo da dirlo pubblicamente, con il rischio di far fallire l'operazione?".Napolitano: «Lo Stato non ha abbandonato nessuno». Poi le parole di Napolitano, secondo cui le rivelazioni rese note nei giorni scorsi a proposito di una pista che porterebbe al coinvolgimento di apparati dello Stato nelle stragi di mafia del 1992 in cui persero la vita, fra gli altri, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, "sono più o meno senzazionalistiche e provengono da soggetti, diciamo così, piuttosto discutibili", con evidente riferimento alle dichiarazioni di Totò Riina. Subito dopo, il capo dello Stato ha distinto tra queste e le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia. "Altra cosa - ha detto - sono le testimonianze che si acquisiscono in sede giudiziaria e lì vanno vagliate, lì se c'è un velo di oscurità o di ambiguità da squarciare bisogna squarciarlo". Sulla credibilità dei "pentiti" che sostengono questa tesi Napolitano ha detto di non potere fare valutazioni. "Tutti i collaboratori di giustizia in partenza - ha detto - non godono di credibilità. Ma io non sono in grado di valutare. Lasciamo fare ai magistrati il loro lavoro".Napolitano ha pi stigmatizzato le critiche di Rita Borsellino sulla presunta assenza dello Stato nella vicenda: "Appena un mese e mezzo fa abbiamo fatto una grande manifestazione a Palermo. Come si fa a dire che lo Stato ha abbandonato Borsellino?".Ieri la freddezza di Palermo. Commemorazioni sottotono per l'anniversario di Borsellino a Palermo. Tante le personalità che hanno voluto ricordare, attraverso messaggi, il magistrato: dal presidente della Camera Gianfranco Fini a quello del Senato Renato Schifani. Ma ad ascoltare le note della banda della polizia, nel piazzale della caserma Lungaro, dove sono state deposte corone di fiori a memoria dei caduti nella lotta alla mafia, c'erano soltanto autorità, rappresentanti delle forze dell'ordine e qualche familiare delle vittime. Non è andata meglio in via D'Amelio, luogo della strage, dove, come ogni anno, le associazioni - quest'anno in prima fila c'era il comitato cittadino '19 luglio 2009', presieduto dal fratello del giudice ucciso - organizzano manifestazioni e veglie. In strada non erano più di un centinaio: pochissimi palermitani e alcuni ragazzi giunti da altre regioni al seguito di associazioni antimafia. Un'assenza pesante, quella della città, stigmatizzata dal fratello di Borsellino, Salvatore, arrivato ad accusare i suoi concittadini di "avere tradito la promessa fatta a Paolo il giorno della sua morte".Forse temendo l'indifferenza della gente, nei giorni scorsi, i giovani del comitato avevano riempito le cassette della posta dei condomini di via D'Amelio di volantini che invitavano la cittadinanza ad appendere alla finestre un lenzuolo bianco. Ma dai palazzi squassati dall'esplosione del tritolo, oggi, pendevano soltanto tre striscioni.  "Vergogna, vergogna", hanno gridato gli organizzatori rivolti verso le finestre chiuse di chi, alle commemorazioni, ha preferito il mare. Dopo poco, per stemperare la tensione, in strada è scesa Rita Borsellino, sorella del magistrato. Ci vuole più coraggio a restare qui ogni giorno che a fare le manifestazioni", ha detto ai pochi presenti. Non è andata meglio nel pomeriggio. Da una via d'Amelio quasi deserta è partito il corteo - circa 300 persone - diretto al quartiere Kalsa, il rione popolare in cui il giudice è cresciuto. Salvatore Borsellino ha aperto la marcia tenendo alta in mano un'agenda rossa, ormai diventata simbolo delle tante ombre che gravano ancora sulla strage.Le rivelazioni di Riina. Sarebbero stati personaggi legati alle istituzioni a eliminare Paolo Borsellino, il magistrato morto nella strage di Via D'Amelio il 19 luglio 1992. A dichiararlo dal carcere il giorno dell'anniversario della morte di Borsellino è stato  il boss di Cosa Nostra, Salvatore Riina, mentre la procura di Caltanissetta indaga su nuovi scenari legati alle stragi di mafia. "Nell'ambito della rivisitazione giudiziaria investigativa in corso attualmente dei fatti di strage del 19/7/92 ... il sig. Riina ha inteso mio tramite rappresentare... il suo avviso per il quale l'attentato in danno del dott. Borsellino è opera di personaggi legati alle istituzioni", spiega in una nota il legale del boss, Luca Cianferoni. "La frase 'Lo hanno ammazzato loro' è del sig. Salvatore Riina, il quale nel suo lessico ha altresì detto di 'essere stanco di fare il parafulmine dell'Italia'", prosegue Cianferoni. La procura nissena sta indagando sull'ipotesi di depistaggi che avrebbero portato alle sentenze per cui Riina è stato condannato per una serie di fatti di sangue tra cui la strage di Via D'Amelio e quella di Capaci, in cui il 23 maggio 1992 restò ucciso il giudice Giovanni Falcone con la moglie e gli agenti della scorta. A spingere i magistrati ad aprire una nuova inchiesta sono state le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza, che stravolgerebbero lo scenario fornito in precedenza da un altro "pentito", Vincenzo Scarantino, facendo pensare a mandanti politici occulti e ad interventi dei servizi.Circa una presunta trattativa tra Stato e mafia per mettere fine alle stragi, Riina si dice estraneo."Con riferimento alla cosiddetta 'trattativa' che sarebbe stata condotta tra i sigg.ri Ciancimino, Vito e Massimo, il sig. Riina non solo smentisce categoricamente il fatto, ma intende fare presente che già diversi anni fa era stata la stessa sua difesa a chiedere che venisse esaminato in aula il sig. Massimo Ciancimino, senza però ottenere tale prova, in maniera inspiegabile ancor più alla luce degli odierni approfondimenti". Il riferimento è al documento - il "papello" - su cui sarebbero annotate le richieste di Cosa Nostra e che Massimo Ciancimino - figlio dell'ex sindaco di Palermo e collaboratore di giustizia - avrebbe promesso di consegnare ai magistrati.
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