Non solo nitrato d'ammonio e sostanze chimiche, ma anche documenti di altri islamici. Il covo di via Gulli a Milano, dove gli uomini della Digos hanno trovato il materiale con il quale è stato confezionato l'ordigno fatto esplodere davanti alla caserma dell'Esercito in piazzale Perrucchetti lunedì scorso, probabilmente ospitava altri islamici, oltre ai tre già finiti in manette. Massimo il riserbo degli inquirenti ma, a quanto apprendono alcune agenzie di stampa, sarebbero un paio i documenti di altre persone trovate nell'appartamento-laboratorio. Identità sulle quali gli investigatori stanno svolgendo tutti i controlli. "Troppo presto adesso, per parlare di complici", dicono.
Nel covo esplosivo e attrezzature per altri attentati. I tre fermati per l’attentato di lunedì alla caserma dell’Esercito di piazzale Perrucchetti a Milano ci avevano già provato. La verifica dell’efficacia degli ordigni da loro preparati era stata fatta nei scorsi giorni. Un’azione quindi ben studiata, che solo un fortunoso malfunzionamento dell’ordigno, al momento dell’innesco, ha permesso di evitare la strage.Tuttavia, alcuni elementi dell’indagine ancora non combaciano. Per esempio sul numero e sulla qualità dei contatti del gruppo. Sulle frequentazioni del «bombarolo» libico Mohamed Game all’interno dell’Istituto culturale islamico di viale Jenner, a Milano. Da esaminare, poi, c’è anche il personal computer sequestrato al cittadino libico. Un pc particolare. Quando lo si accende appare sul display la gigantografia del principe del terrore: Ossama Benladen. Nel pc gli inquirenti contano di trovare la mappa dei contatti del gruppo con la galassia del fondamentalismo, che si ritrova su Internet. Infine c’è il giallo dell’esplosivo e di eventuali nuovi covi, usati come arsenale o poligono. Già l’esplosivo. I conti sembrano proprio non tornare. In via Gulli 1, un palazzo fatiscente della periferia milanese, dove risiedeva uno dei tre fermati, il libico di 35 anni Mohamed Imbaeya Israfel, professione idraulico, è stata trovata la base della cellula terroristica. In una cantina gli aspiranti terroristi Mohamed Game e il suo connazionale, e presunto complice, avevano infatti installato gli strumenti necessari per preparare bombe e inneschi. Gli ordigni venivano confezionati assemblando fra loro elementi chimici, tra cui il nitrato di ammonio, il più importante.Martedì mattina gli inquirenti milanesi avevano fatto sapere che all’interno del covo erano stati ritrovati 40 chilogrammi di materiale potenzialmente esplosivo, assieme a documenti ritenuti «di interesse investigativo». In serata però il ministro dell’Interno Roberto Maroni spiegava che nella base il materiale ritrovato ammontava a 4 pacchi da 40 chilogrammi l’uno. Totale 160 chilogrammi. Quasi dieci giorni fa il Game si era recato al Consorzio agricolo di Corbetta, piccolo centro in provincia di Milano. Il libico era accompagnato da un uomo in macchina, che potrebbe non essere uno dei due fermati. L’obiettivo? Acquistare nitrato d’ammonio per fare bombe.Ieri mattina però da 160 chili ipotizzati, si è passati a 120 chilogrammi. Sarebbero infatti tre, e non quattro, i pacchi che alla fine si era portato a casa il libico. E qui il primo dubbio. I pacchi sono tre, oppure uno è stato magari ceduto all’amico che era al volante dell’auto, magari affiliato ad un’altra cellula “fai da te”. Siano però 160 o 120 i chili di sostanza in gioco, nella migliore delle ipotesi, considerando i 40 ritrovati, mancherebbero comunque all’appello 80 chili di materiale. E con 80 chili si riescono a fare ben 16 ordigni come quello usato lunedì, che potrebbero funzionare meglio del primo e fare strage. Gli inquirenti escludono l’esistenza di altre basi o di poligoni di tiro, ma la sostanza pericolosa scomparsa costituisce un mistero ancora da svelare.