Non ha agito da solo, voleva uccidere e aveva un piano ben preciso, Mohamed Game. Il cittadino libico di 35 anni, che lunedì mattina, armato di un ordigno ha tentato di forzare l’ingresso della porta carraia. Aveva deciso di farsi saltare in aria, come un kamikaze, dentro la caserma Santa Barbara, struttura operativa dell’Esercito di piazzale Perrucchetti. Ieri all’alba gli agenti della Digos di Milano e i carabinieri del Ros hanno fermato altri due extracomunitari, presunti complici del Game: Abdel Hady Kol, cittadino egiziano del 1957, sposato con 4 figli, vicino di casa del Game, in via Civitali, pure lui inquilino abusivo dell’Aler dal 1998. E Mohamaed Imbaeya Israfel, 32 anni, libico, residente in zona. Uno dei due avrebbe accompagnato in auto il Game in piazzale Perrucchetti per compiere l’attentato. I fermi disposti dal pm Maurizio Romanelli, titolare dell’inchiesta, dovranno essere confermati oggi dal Gip Franco Cantù Rajnoldi. Le accuse sono di strage.L’indagine fa un altro passo avanti, quindi. E questi arresti potrebbero essere solo i primi, di un elenco che Digos e carabinieri stanno cercando di compilare. Le forze dell’ordine, a detta della Procura, hanno ritrovato 40 chilogrammi di agenti chimici comprati dal Game, per lo più acetone e fertilizzanti, come il nitrato d’ammonio, con i quali sarebbe possibile realizzare almeno 8 ordigni, come quello fatto scoppiare lunedì. Esplosione che avrebbe potuto provocare una strage, non fosse stato (per errore o malfunzionamento) ridotta alla decima parte del suo reale potere distruttivo. Basti pensare che lo stesso tipo d’ordigno è stato usato contro i militari italiani a Kabul. Ma il materiale ritrovato potrebbe essere ben di più: il Viminale ha parlato di 4 pacchi da 40 chilogrammi, per un totale di 160 chili.In caso di attacco contemporaneo a più obiettivi, con l’utilizzo di tutto il materiale trovato nell’arsenale, non essendo stati trovati innesti a distanza, l’operazione avrebbe richiesto l’impiego di almeno 8 persone: ma si tratta di un’ipotesi teorica.L’indagine più che prendere spunto da ambienti del fondamentalismo religioso, sembra muoversi tra quelli del degrado sociale. Uno dei fermati, per esempio, era stato già identificato durante una manifestazione per il «diritto alla casa».Nel corso degli accertamenti, nella base del gruppo, in via Gulli al civico 1, è stato trovato anche altro materiale ritenuto di «interesse investigativo». Oltre all’esplosivo, anche documenti. L’appartamento era nella disponibilità del bombarolo e del suo presunto complice egiziano Kol. Nello stabile, dove è stato individuato il covo, abita anche l’altra persona fermata, e cioè il libico Imbaeya Israfel. Ma su possibili collegamenti con altre cellule terroristiche, meglio organizzate, gli inquirenti stanno ancora indagando. Sinora resta confermata la linea del gesto isolato, anche se a compierlo sarebbe stato appunto un gruppo e non il solo Game, che comunque, secondo le prime ipotesi, aveva messo in conto di morire. Che si tratti di una cellula "fai da te" lo confermerebbero anche i riscontri avuti dalle perquisizioni effettuate nelle abitazioni dei due fermati: Digos e Ros non avrebbero trovato materiale ideologico che possa richiamare il
jihad. Ma questo non ne attenua la pericolosità. Gli investigatori ritengono che sia Game, avvicinatosi al centro di viale Jenner probabilmente in seguito a problemi personali, sia gli altri due fermati, siano schierati su posizioni radicali, ma non per questo inseriti in un vero e proprio contesto eversivo organizzato.