Omangi la minestra (della mensa) o salti dalla finestra: e torni a casa a consumare il pasto. D’ora in poi non si va più in classe con lo scaldavivande nello zainetto. E i soli Panini ammessi saranno quelli delle figurine. Il cibo casalingo sui banchi di scuola non piace alla Cassazione, che ieri ha sancito a sezioni unite il divieto di «autorefezione » per gli alunni dell’obbligo. Ma non per motivi dietetici, come quelli che avevano spinto un gruppo di genitori torinesi a difendere fin in tribunale la possibilità di fornire ai figli dei menu domestici, e nemmeno per contrastare quanti (bisognosi o 'furbetti' che siano) evitano di pagare il ticket del pasto comunale. Le ragioni sono ben più alte, di ordine educativo se non addirittura costituzionale.
L’istituzione scolastica infatti – sostiene la Suprema Corte – «è un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individuali devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità, come interpretati dell’istituzione scolastica mediante regole di comportamento cogenti, tenendo conto dell’adempimento dei doveri cui gli alunni sono tenuti, di reciproco rispetto, di condivisione e tolleranza». Mangiare tutti insieme, lo stesso pasto e al medesimo tavolo è insomma un fatto educativo: «L’introduzione di vari e differenziati pasti domestici nei locali scolastici inficia il diritto alla piena attuazione egualitaria del progetto formativo, comprensivo del servizio mensa».
Coloro che insistono sulla schiscetta dunque sbagliano, ritie- ne la Cassazione nel suo linguaggio tipico: «Un diritto soggettivo perfetto ed incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici, non è configurabile ». Anzi, al contrario, per chi porta il cestino delle pietanze da casa si ravvisa addirittura la «possibile violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione in base alle condizioni economiche, oltre che al diritto alla salute, tenuto conto dei rischi igienico-sanitari di una refezione individuale e non controllata».
Né vale il paragone con il diritto di obiezione previsto nelle scuole ad esempio per l’ora di religione, la cui esenzione «è stata riconosciuta espressamente dalla legge»; i diritti dei singoli – sostengono i giudici – sono già garantiti dalla possibilità «di influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche» con la partecipazione di commissioni di genitori. Insomma, pronunciandosi sul ricorso presentato dal Comune di Torino e dal Miur contro una sentenza emessa nel 2016 dalla Corte d’appello del capoluogo subalpino, il palazzo degli ermellini porta il menu delle mense scolastiche a livelli molto alti, certo non immaginati dai 38 genitori torinesi che nel 2014 avviarono una causa per il diritto di consumare un pasto domestico in classe. E comunque le polemiche non si fermeranno; già ieri il gruppo Facebook 'CaroMensa a Torino' commentava: «La scuola dell’obbligo gratuita da Costituzione è da buttare, d’ora in avanti o paghi la minestra o salti la finestra (sempre che non ti portino via la casa per morosità)».
Assai più positivi i rilievi di esperti come Giorgio Calabrese, presidente del Comitato nazionale della Sicurezza alimentare del ministero della Salute: «Come bisogna garantire che i docenti insegnino bene, bisogna anche garantire il pieno controllo dei cibi da quando 'nascono' a quando arrivano alla bocca degli alunni. Per alcune famiglie può essere pesante pagare la mensa, ma credo che i genitori debbano battersi più affinché il pasto a scuola costi in base all’Isee, anziché per il 'diritto al panino'. E comunque, dal punto di vista nutrizionale, penso che sia meglio consumare il pasto in mensa, dove tutto viene controllato».
Pare tuttavia che non la pensino allo stesso modo gli italiani, i quali secondo l’immancabile sondaggio – stavolta firmato Coldiretti/Ixè – per il 71% ritengono che le mense scolastiche dovrebbero offrire cibi più sani proprio per fare educazione alimentare alle nuove generazioni, mentre uno su 4 dà una valutazione negativa dei 380 milioni di pasti serviti ogni anno ai 2,5 milioni di studenti della scuola dell’obbligo. Coldiretti sollecita perciò a privilegiare negli appalti i cibi locali e 'a km 0', che riducono i rischi di contaminazioni e frodi alimentari.