lunedì 2 novembre 2009
Polemiche dopo la morte della neobrigatista Diana Blefari Melazzi, condannata all'ergastolo per l'omicidio Biagi, che si è uccisa impiccandosi con lenzuola tagliate e annodate attorno al collo a Rebibbia. Gli avvocati e il garante dei detenuti: «Una morte annunciata». A poche ore dal gesto, la Blefari sembrava pronta finalmente a collaborare.
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Sembra che fosse pronta a collaborare con la giustizia e sabato, poche ore dopo aver aver avuto nel carcere romano di Rebibbia un colloquio con gli investigatori, che non sarebbe stato il primo, e una successiva notifica della sentenza di Cassazione che la condannava definitivamente all'ergastolo per l'omicidio del giuslavorista Marco Biagi, alle 22.30 la neobrigatista Diana Blefari Melazzi, di 41 anni, di Roma, si è uccisa impiccandosi con lenzuola tagliate e annodate attorno al collo nella sua cella singola. A scoprire il cadavere un'agente della polizia penitenziaria in servizio nel reparto, che aveva sentito un rumore sordo provenire dalla cella della Blefari. Inutile il tentativo di rianimarla.La polemica. "Una morte annunciata", ha detto subito il presidente dell'associazione Antigone, Patrizio Gonnella, che si batte per i diritti nelle carceri. "Aveva senso tenere in carcere una persona che stava così male?". Perchè da tempo Blefari "schizofrenica e inabile psichicamente", passava le sue giornate, come ricorda il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, "in completo isolamento, in una cella singola, per la maggior parte del tempo a letto e al buio rifiutando spesso cibo e medicine", senza rapporti con altre detenute e operatrici volontarie. Blefari dal 21 ottobre era arrivata dal carcere fiorentino di Sollicciano dopo essere passata anche nell'ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino e nel penitenziario dell'Aquila. "Siamo sotto choc, abbiamo fatto tante battaglie, abbiamo cercato in tutti i modi di far riconoscere il profondo disagio di Blefari. Ora è troppo tardi", ha detto il suo avvocato Caterina Calia, difensore, insieme con l'avvocato Valerio Spigarelli. Il legale ricorda le numerose perizie psichiatriche a cui era stata sottosposta la terrorista per verificare la sua capacità di stare in giudizio. Secondo la difesa, Blefari soffriva di una grave patologia psichica e più volte le stesse difese avevano sollecitato il riconoscimento di tale situazione. Le indagini. Ultimamente sia la Corte di Cassazione sia nei mesi scorsi il gup del tribunale di Roma, avevano respinto tali istanze. Nel 2008 la brigatista in un momento di particolare tensione emotiva aggredì un agente di polizia penitenziaria e il 23 novembre prossimo sarebbe dovuto cominciare il processo. La morte della Blefari arriva quando forse la terrorista aveva deciso di svelare elementi ritenuti utili agliinvestigatori per far luce sugli omicidi D'Antona e Biagi e giungere alla individuazione di altri personaggi coinvolti nelle Nuove Brigate Rosse. Avrebbe potuto svelare molti punti oscuri dell'organizzazione a cominciare dalle armi e dal nascondiglio dove sarebbero state celate, compresa la pistola usata per uccidere Biagi e D'Antona. Il pm Maria Cristina Palaia ha aperto un fascicolo senza indagati e ha disposto l'autopsia. La procura di Roma potrebbe riesaminare l'intero iter giudiziario della Blefari in considerazione della sua presunta patologia psichica, come emerso in questi anni dalle numerose richieste di consulenze. La brigatista doveva rispondere nei prossimi giorni, in particolare, alle domande del pm Erminio Amelio, su MassimoPapini arrestato il 2 ottobre scorso dalla Digos. Papini, 34 anni, romano, era stato arrestato con l'accusa di partecipazione a banda armata delle Br-partito comunista combattente. Per gli investigatori sarebbe stato legato a Blefari e l'avrebbe accompagnata all'internet point dove la donna fece partire la rivendicazione dell'omicidio Biagi. Alfano. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha avviato un'inchiesta amministrativa, sottolineando che Blefari era "in una situazione carceraria compatibile con le sue condizioni psicofisiche". Anche il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Franco Ionta, che si è recato a Rebibbia, ha detto che la "sistemazione" della terrorista "era corretta".
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