martedì 12 maggio 2009
il demografo Se si continua con questi ritmi, la popolazione straniera raddoppierà ogni cinque anni. Con quali conseguenze?
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I numeri non sono tutto, ma aiu­tano a capire cosa sta accaden­do, cosa accadrà e cosa è utile fare. Lo dice un demografo di fama come Gian Carlo Blangiardo, do­cente all’università di Milano Bi­cocca, responsabile del settore sta­tistica dell’Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) e gran cono­scitore del pianeta immigrazione, al quale ha dedicato decine di stu­di e ricerche. Cosa ci mostrano gli occhiali del demografo? Dicono che con 5 milioni di stra­nieri, di cui 4 milioni di regolari, siamo arrivati a livelli inimmagi­nabili fino a poco fa. E che se si continua con i ritmi del 2007 e 2008, che hanno registrato mezzo milione di ingressi all’anno, la po­polazione straniera è destinata a raddoppiare ogni cinque anni. Con conseguenze importanti sul piano demografico, sociale e culturale, che non credo saremmo in grado di reggere. È cambiata anche la composizio­ne del 'pianeta immigrazione'? Più della metà proviene dall’Euro­pa dell’Est, i romeni guidano la classifica delle nazionalità con 780mila residenti, seguiti dagli al­banesi con 440mila, mentre i ma­rocchini che fino a qualche tempo fa erano in testa ora sono al terzo posto. E in generale le provenien­ze africane stanno perdendo peso percentuale, anche se lo spazio che giornali e televisioni dedicano agli sbarchi sulle nostre coste induce molta gente a pensare il contrario. In effetti la comunicazione me­diatica enfatizza i fatti più clamo­rosi ma non sempre coglie le au­tentiche linee di tendenza… Proprio così. Qualche esempio? L’aumento dei nuclei familiari: or­mai su tre permessi di soggiorno, uno viene rilasciato per motivi di famiglia e due per lavoro, mentre negli anni Novanta il rapporto era di uno su quattro. Un altro esem­pio: i minorenni sono 800mila, il 22 per cento del totale, la metà dei quali è nata qui, e quindi quando arriva a scuola ha già cominciato un processo di integrazione lin­guistica e culturale. E ancora, au­mentano le imprese di cui è tito­lare uno straniero, un altro indica­tore del progressivo radicamento. Dunque, l’integrazione galoppa? I segnali positivi non mancano, ma i numeri che citavo prima (un mi­lione di nuovi ingressi nello spazio di due anni) esigono una grande capacità di governo. E forse qual­che aggiustamento di tiro per il fu­turo. La forte cresci­ta, specie nelle gran­di aree urbane e al Nord, ha fatto emer­gere una 'sindrome da accerchiamento', non sempre motiva­ta e spesso strumen­talizzata a fini politi­ci, ma con la quale si devono fare i conti, prima che la convi­venza degeneri. Il nostro Paese sa­rebbe in grado di fa­re a meno degli immigrati sul pia­no economico? La loro funzionalità alle esigenze del mercato del lavoro è fuori di­scussione, ma questo non deve di­ventare un refrain che giustifica i­niezioni massicce di manodopera straniera che si rivelerebbero con­troproducenti, anche nei confron­ti degli immigrati che già risiedo­no tra noi. Nei prossimi anni il si­stema Italia perderà una grande quantità di forza lavoro, soprattut­to al Sud, in conseguenza della ca­duta del livello di fecondità delle popolazioni meridionali. Ma la mancanza di forza lavoro non sarà necessariamente un elemento traumatico, piuttosto un’occasione di riequilibrio della situazione oc­cupazionale, in particolare tra i gio­vani. Gli stranieri salveranno l’Italia dal declino demografico? Anche in questo campo, uno sguardo ravvicinato alle tendenze che si vanno affermando mette in crisi certi luoghi comuni consoli­datisi nel tempo. Nel 2006 la po­polazione straniera aveva un tasso di 2,5 figli per donna, nel 2008 si è scesi a quota 2,12. Le dinamiche della fecondità delle immigrate si muovono verso il basso, e in alcu­ne città siamo già scesi sotto i li­velli di ricambio generazionale, che è di due figli per donna. In u­na prospettiva di medio-lungo periodo, dire che gli immi­grati risolvono i problemi de­mografici di questo Paese vuol dire na­scondere la te­sta sotto la sab­bia. I lavoratori stranieri sono in gran parte gio­vani: saranno decisivi per le sorti del sistema pensionistico? È vero che contribuiscono ad argi­nare la crisi della nostra previden­za, ma non possono invertire la tendenza generale all’invecchia­mento della popolazione, a meno di ingressi ancora più massicci nel mercato del lavoro, che peraltro (come ho detto prima) innesche­rebbero conseguenze sul piano della convivenza. Insomma, l’im­migrazione è utile a certe condi­zioni. E certamente non è la pana­cea di certi problemi nazionali. La funzionalità della manodopera straniera al mercato del lavoro è fuori discussione. Ma gli immigrati non sono decisivi né per arrestare il declino demografico né per il sistema pensionistico
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