martedì 15 marzo 2011
La presidente dell’associazione nazionale biogiuristi, Rosaria Elefante, rilegge in punta di diritto l’assurda vicenda giuridica che ha permesso di lasciar morire di fame e di sete la donna di Lecco.
- Testo ben ispirato e ormai necessario di Marco Impagliazzo
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Ramonda (Giovanni XXIII): «Una buona, necessaria mediazione»
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Una legge, quella sulle Dat, di cui non si sentiva la mancanza, «perché già la Costituzione e l’intero impianto legislativo bastano a tutelare la vita di un soggetto incapace, dunque giuridicamente protetto». Eppure una legge resa «indispensabile» dal fatto che «il caso Englaro dimostra come, aggirando le norme, si è applicata l’eutanasia in Italia, dove l’eutanasia è reato». Così l’avvocato Rosaria Elefante, presidente dell’Associazione nazionale biogiuristi italiani, consulente giuridico dell’European Task Force che raccoglie i massimi specialisti in stato vegetativo, nonché legale di 34 associazioni di familiari di persone disabili.Com’è stato possibile in Italia provocare la morte di una persona disabile sana, non in stato terminale e non attaccata a macchine?Fare delle leggi sull’onda emozionale di un dibattito che nasce attorno a una persona simbolo com’era Eluana è sempre pericoloso. Mi riferisco al decreto della Corte d’Appello di Milano del luglio 2008, quello che ha autorizzato Englaro a togliere nutrizione e idratazione a Eluana, e che ha completamente disatteso le richieste della Cassazione. Il fatto è lampante. La sentenza della Cassazione autorizzava i giudici di Milano a disattivare il sondino solo in presenza di due presupposti: se lo stato vegetativo di Eluana fosse risultato "irreversibile in base a un rigoroso apprezzamento clinico, e non vi fosse alcun fondamento medico secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale che lasci supporre la benché minima possibilità di un recupero anche flebile della coscienza"; e poi che la sua volontà di morire, non avendo lei lasciato scritto nulla, potesse essere ricostruita "in base a elementi di prova chiari, univoci e convincenti che delineassero la sua personalità".Sarebbe bastato che uno dei due presupposti cadesse perché Eluana si salvasse?Sarebbe bastato. Ma i giudici non hanno eseguito quanto dovevano. Nell’acclarare il suo stato di salute, la Corte d’Appello di Milano non ha nominato un medico, anzi, ha preso come proprio specialista il medico di parte di Englaro, dottor Defanti, cosa che non si fa nemmeno per un banale incidente d’auto, figuriamoci per decidere della vita di una persona. Addirittura si è affidata alla certificazione di stato vegetativo stilata da Defanti nel 2002 e l’ha considerata "passata in giudicato", quindi "inappellabile". Non solo: anziché rifarsi agli standard scientifici internazionali, i giudici milanesi hanno citato la letteratura medica ferma al 1994: in medicina e soprattutto nelle conoscenze sugli stati vegetativi è preistoria.Essendo giudici e non medici, forse non lo sapevano.Insieme alle 34 associazioni ho rivolto un appello al Procuratore generale, cioè a colui che tutela i deboli purché "la questione sia di interesse comune"... ma nonostante l’appello fosse firmato da migliaia di familiari, la vita di una persona, per di più disabile e indifesa, è stata ritenuta dalla Corte Costituzionale "questione privata". Allora ho fatto personalmente un esposto alla Procura di Milano, dimostrando l’inesistenza dei due presupposti richiesti dalla Cassazione e chiedendo che su Eluana si svolgessero veri accertamenti, soprattutto considerati i mutamenti indiscutibili avvenuti nella sua persona, come la ricomparsa delle mestruazioni dopo 14 anni di amenorrea, o evidenti segnali di coscienza testimoniati da molti indizi. Torniamo all’altro requisito che la Cassazione ha imposto ai giudici milanesi di appurare: la volontà di Eluana.Anche qui gravi inadempienze: anziché indagare in modo reale, la curatrice speciale, avvocato Alessi, fin dall’inizio si è appiattita ufficialmente sulle posizioni di Englaro, limitandosi a risentire le tre testimoni portate da lui in giudizio illo tempore.Stesso errore, dunque: fonti vecchie e nessun approfondimento.È il gennaio 2009 - Eluana è ancora viva - quando io personalmente a Lecco raccolgo una marea di testimonianze che raccontano un’Eluana diversa da quella descritta da Englaro, ma guarda caso tutte quelle voci, e pure una lettera molto importante, non vengono prese in considerazione dai giudici. Tra l’altro queste indagini erano compito non mio ma dei giudici milanesi, che invece non hanno svolto l’attività imposta loro dalla Cassazione. Allora ho fatto un esposto alla Procura di Milano, ricordando che la volontà di Eluana non era stata affatto ricostruita, e che nessuno specialista era stato chiamato ad appurare se in lei ci fosse "un qualche sia pur flebile recupero della coscienza" nonostante ormai esistessero tecniche incontrovertibili come la Risonanza magnetica funzionale, che avrebbe tagliato la testa al toro. Che cosa avrebbe potuto evidenziare?Se il suo era uno stato vegetativo, cosa che non possono certo dire un avvocato, un giurista o il signor Englaro. Per 4 anni io ho visitato Eluana e, avendo seguito per 15 anni i casi di stato vegetativo, assicuro che lei aveva una sua coscienza. Ma io non sono uno specialista e la mia parola vale quanto la loro: ripeto, era un dovere procedere con una diagnostica strumentale avanzata.La risposta della Procura?Mi è arrivata il 6 marzo 2009... quando Eluana era morta da quasi un mese: "Quello che fanno i giudici non si può sindacare". Un obbrobrio giuridico senza precedenti. La mia non è una impostazione cattolica, guai se il diritto fosse condizionato dalla religione, ma alla luce di tutto questo non si può non auspicare una nuova legge che ribadisca l’intero impianto del nostro ordinamento giuridico. Secondo la Costituzione, articolo 32, ognuno è libero di rifiutare le cure e lasciarsi morire, ma della propria patologia, ed Eluana non è certo morta di stato vegetativo. E dov’è finito il Codice Penale, che impone al cittadino di soccorrere qualsiasi persona non più capace di provvedere a se stessa, pena la reclusione? Lì c’era una disabile e moriva di sete e di inedia. Davanti a un’équipe di medici e infermieri.
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