Rispetto ai loro coetanei mostrano una maggiore abilità nella risoluzione dei problemi e sviluppano una capacità di concentrazione, durante i compiti in classe, che li rende impermeabili ai rumori e li fa restare concentrati sull’esercitazione. Chi sono? I bambini bilingui. Recenti ricerche hanno dimostrato come, chi parla due lingue già dai primi anni di vita, abbia spesso una marcia in più rispetto agli altri. E l’aspetto sorprendente è che i vantaggi non si limitano al campo prettamente linguistico, ma sconfinano anche in altri settori come quello sociale e della comunicazione. Lo sostiene Maria Kihlstedt, docente all’università Paris-X Nanterre ed esperta in acquisizione precoce di una seconda lingua, intervenuta alla conferenza «Il bilinguismo infantile: manna o fardello?», che si è tenuta al centro culturale Saint Louis de France a Roma. Secondo la psicolinguista, infatti, gli ultimi studi in materia dimostrano che «chi fin dall’infanzia viene indirizzato all’apprendimento di una seconda lingua presenta negli anni successivi un’ampia elasticità mentale e una percezione molto acuta e sottile delle regole comunicative».Certo, la vita del bambino bilingue non è tutta «rose e fiori». Spesso nei primi anni di scuola si può incorrere in problematiche relative alla lingua scritta. Inoltre, altro fenomeno diffuso nei primi periodi di apprendimento, è quello della mescolanza. «Per un bimbo bilingue ad esempio - spiega la Kihlstedt - può venire naturale inserire una parola francese in una frase che sta pronunciando in italiano. Ma episodi come questo non devono destare eccessiva preoccupazione nei genitori, anzi sono il segno evidente che l’apprendimento della seconda lingua sta procedendo con successo. Occorre solo pazienza, perché è impossibile ottenere ottimi risultati nel breve periodo».Dopo aver spiegato la differenza tra il bilinguismo simultaneo (quando si acquisisce fin dalla nascita) e quello successivo (dai 3 ai 7 anni) la docente ha sottolineato come l’arrivo al raggiungimento da parte del bambino di un «bilinguismo equilibrato» (quello che non prevede alcuna difficoltà nel passaggio da una lingua all’altra) richieda un lavoro continuo da parte della famiglia. «Occorre creare delle situazioni in cui la lingua debole sia l’unica soluzione possibile per il bambino – spiega – altrimenti il piccolo non vede la necessità di dover comunicare in una lingua diversa da quella del Paese in cui vive». Il rischio, infatti, se non si seguono queste regole base, è quello di arrivare a quello che gli esperti definiscono bilinguismo sottrattivo, cioè quando il processo di acquisizione della lingua minoritaria avviene a scapito di quella materna. Grazie a recenti ricerche si è riscontrato però che non è necessario aver acquisito completamente una lingua per impararne un’altra. «La lingua minoritaria – afferma la docente – non mangia il capitale della lingua dominante». Anzi, un’educazione bilingue comporta da adulti una maggiore capacità di apprendimento di altre lingue. Le strategie per apprendere il linguaggio acquisite nell’infanzia consentirebbero infatti – secondo uno studio della Northwestern University – di imparare con più facilità altre lingue in futuro. Per dimostrare questo è stato chiesto a tre gruppi di studenti (monolingui inglesi, bilingui inglese-spagnolo e bilingui inglese-mandarino) di memorizzare vocaboli in una lingua inventata, che non aveva alcuna relazione né con l’inglese né col mandarino. I bilingui di entrambi i gruppi erano in grado di ricordare quasi il doppio delle parole dei monolingui. Il professor Marco Tamburelli, docente di Bilinguismo all’università di Bangor (Galles) aggiunge che un bambino bilingue «ha la capacità di ricordare un numero di informazioni di gran lunga superiore rispetto a un suo coetaneo monolingue».Queste scoperte scientifiche sembrano aver sgombrato il campo dai pregiudizi che sono sempre esistiti nei confronti di un’educazione bilingue. Nell’epoca del nazionalismo, in cui vigeva la logica «uno Stato e dunque una lingua», il bilinguismo veniva additato come «nocivo» e la mescolanza di più lingue veniva vista come una forma di «bastardaggine». «Oggi ovviamente non è più così – sostiene la Kihlstedt – anche perché forse non tutti sanno che una grossa fetta della popolazione mondiale è bilingue e che il monolinguismo dell’Occidente, in questo senso, rappresenta un’eccezione». Senza considerare il cosiddetto bilinguismo da immigrazione. È un fenomeno che ci riguarda da vicino. Ogni anno in Italia nascono circa 60mila figli di cittadini stranieri. Sono cittadini italiani in piena regola e sono tutti potenziali bilingui.