Un duro botta e risposta tra il segretario del Pd Pierluigi Bersani e Arturo Parisi sulla raccolta delle firme per il referendum elettorale ha caratterizzato la direzione di ieri dei democratici. Ma a bene vedere, il tema centrale discusso nella direzione di ieri è stato quello delle alleanze, con la minoranza interna decisa a ottenere maggiore apertura di credito nei confronti dei moderati. Bersani, nella conferenza stampa finale, si è sbracciato a ribadire: «Noi lavoriamo ad una convergenza tra forze progressiste e moderate. Le forze del centrosinistra devono farsi carico di un appello largo non solo alle forze politiche ma anche ai movimenti e alle associazioni. Noi chiediamo questo atteggiamento e verificheremo». Ma dentro la direzione non sono mancate voci critiche. Intanto per la questione delle elezioni anticipate. Sono stati in molti a raccomandare a tutti, segretario in testa, di non utilizzare troppo questo argomento. Dal vicesegretario Letta, alcapogruppo Franceschini, a Giuseppe Fioroni, a Franco Marini, fino ai veltroniani. L’idea, insomma, è che la minaccia di elezioni anticipate fa inevitabilmente compattare e chiudere a riccio il Pdl e i responsabili (per i quali non è affatto assicurata la rielezione), mentre la proposta del governo di larghe intese potrebbe invece incentivare l’attuale maggioranza, o parte di essa, a chiedere le dimissioni di Berlusconi e a dare vita a una fase nuova.
Fioroni è stato esplicito: «È ora di fare chiarezza, non possiamo dare la sensazione che alla luce del sole lavoriamo per il governo istituzionale e nell’ombra per le elezioni anticipate». Veltroni ha aggiunto: «La via maestra è il governo di responsabilità nazionale. Metterlo sullo stesso piano delle elezioni, vuol dire indebolirne la prospettiva». Bersani, nella sua replica, ha però spiegato che lui sarebbe favorevolissimo al governo di transizione, ma «per me al 2013 non ci si arriva. È una valutazione che faccio guardando allo scorrimento delle cose». Insomma, ha aggiunto, «non tutto è nelle nostre mani: esiste una sedicente maggioranza di governo, esistono dei ruoli istituzionali ben presidiati. Quel che dobbiamo fare lo stiamo facendo». E, comunque, «siamo pronti a prenderci le nostre responsabilità in un governo d’emergenza che lavori alle emergenze ». Sull’ala sinistra Nicola Latorre ha invece insistito per le elezioni subito: «Solo un passaggio elettorale può creare le condizioni per salvare l’Italia».
Un altro argomento di confronto serrato è stata la lettera al governo italiano della Bce. Il responsabile economico del Pd Stefano Fassina ha giudicato le ricette della Banca centrale «prima che inique, irrealistiche », frutto di un pensiero liberista in forte crisi. Enrico Letta è insorto: «Non possiamo essere europeisti a intermittenza. E non dobbiamo essere conservatori». D’accordo Paolo Gentiloni, che ha sostenuto: «Se i nostri nemici diventano Draghi, Trichet e la Bce, abbiamo perso in partenza ». Anche qui Bersani ha tentato di ricucire: «La nostra posizione è: nessuna critica alla Bce, che ha fatto opera di supplenza ad un governo inesistente. Però questo non significa che non si possa discutere le ricette per arrivare agli obiettivi indicati dalla Bce». Un’altra spina dalla «rosa» radicale.
Antonello Giacomelli (vicino a Franceschini) ha chiesto di porre fine all’alleanza organica con i radicali che «si dimostrano ogni giorno di più incompatibili con il progetto del Pd». E, infine, il duro intervento di Parisi sul referendum. Ragionando per paradossi, l’ex ministro della Difesa ha sostenuto che lui e gli altri referendari avrebbero dovuto essere espulsi per aver firmato contro le indicazioni del partito, oppure che il segretario si sarebbe dovuto dimettere perché travolto dalla grande raccolta di firme. Bersani ha risposto a brutto muso: «Non capisco perché invece di esaltare il contributo che abbiamo dato, certi dirigenti lo azzoppino ». E ha parlato di un «Pd che non è un optional». Parisi ha però chiarito ai giornalisti che non intendeva chiedere le dimissioni di Bersani.