sabato 5 febbraio 2011
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Per ora i segnali arrivano distinti e distanti, ma sono univoci. Bersani, Fini e Casini avvisano Bossi che con Berlusconi il federalismo non lo porterà a casa, e si dicono disposti a lavorare insieme, ma i leader dell’opposizione stanno ancora studiando una strategia per voltare pagina e prende sempre più corpo la possibilità di un’alternativa formata da democratici e terzo polo, anche se ufficialmente ancora non se ne parla. «Alla Lega dico che il federalismo non lo farete mai con Berlusconi, perché a lui non interessa il federalismo, ma i vostri voti, e li userà per il processo breve o per difendere la "cricca di Roma" », dice il segretario del Pd ai "lumbard". E avverte: «Il federalismo non si fa senza di noi e senza le nostre proposte». Pier Luigi Bersani parla senza giri di parole. «Siamo – spiega – all’emergenza e chi la ignora la aggrava». Di qui un progetto che si basa su punti programmatici precisi da offrire a tutte le opposizioni, dal centro ai più radicali, con un’avvertenza: «Voglio una risposta, e se non la danno a me devono darla al Paese». Il leader democratico non passerebbe per il voto, ma insiste perché Berlusconi faccia un passo indietro. Se però dovessero prevalere «arroganti tattiche di sopravvivenza», il Pd chiederebbe di restituire la parola agli elettori. In quel caso servirebbe un patto costituente con tutte le opposizioni. Ma se tra i leader Bersani resta il più esplicito, non meno chiaro è l’appello fatto da Aldo Di Biagio di Fli, da dove il leader Gianfranco Fini ha preferito volare alto nelle sue critiche all’esecutivo. «Il giorno dopo la bocciatura nella bicamerale del decreto sul federalismo, lo stop di Napolitano delegittima il berlusconismo sfacciato e senza regole, che bypassa la legge piegandosi all’interesse del leader», scrive Di Biagio. A questo punto, però, ragiona, «la maggioranza non può rimanere sorda. Anche dinanzi a questo non può continuare a trovare escamotage di varia natura pur di raggiungere i propri obiettivi. Bisogna dar conto al dettato costituzionale e alle disposizioni della Repubblica senza tentare sempre e comunque di subordinarle alle proprie». La strada da percorrere sembra anche qui tracciata, partendo dalla necessità di «gettare la zavorra berlusconiana ed aprire la tanto agognata fase costituente per un futuro di crescita democratica ed economica per l’Italia». Il presidente della Camera, invece, continua la sua critica indiretta, senza entrare nel merito. Fini difende la Costituzione, «straordinaria fonte di regole civili» e stigmatizza le vicende emerse in questa ultima fase politica. «Proprio in questi giorni, non certo esaltanti per il pubblico decoro della politica, è stato ad esempio richiamato l’articolo 54 della Carta, che stabilisce il dovere, per i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge». Il giorno dopo il voto, dunque, Fini non si sbilancia oltre, ma fa i conti con le defezioni che hanno garantito al premier una maggioranza ampia. Su questo, però, l’alleato Casini non si mostra affatto preoccupato: «Assolutamente no», spiega il leader dell’Udc. «Poi se su cento parlamentari ne sono presenti novantanove, francamente non mi sembra una notizia». Quanto all’Udc, pronta a correre per le amministrative con il terzo polo e contro Berlusconi, spiega al Tg1: «Ho cominciato la legislatura con 30 deputati. Ora siamo 80. Se queste sono le premesse, alle elezioni saremo ancora di più». Se poi Bossi le volesse evitare, allora ha un solo modo, avverte l’ex presidente della Camera, ed è riaprire un dialogo «tra maggioranza e opposizione» sulla sua riforma per «realizzare un federalismo virtuoso».
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