«Che hanno detto Ghedini e Longo, che i pm violano la Costituzione? Di più, di più, io dico che hanno dato uno schiaffo al Parlamento...». Se la procura di Milano gira le carte, Berlusconi rovescia il tavolo. I suoi legali, all’uscita dall’ennesimo summit a palazzo Grazioli sulla strategie difensiva, lasciano ai cronisti una frase secca e veloce: «La magistratura tradisce la Carta». Lui ai fedelissimi ne svela tutto il senso: «Vedete, la Camera la settimana scorsa ha rispedito le carte al mittente, ha detto che la competenza è del tribunale dei ministri...». Si riferisce al voto riguardante la richiesta - respinta - di perquisire gli uffici del ragioniere Giuseppe Spinelli, l’uomo sospettato di pagare per conto del Cavaliere le presunte escort di Arcore. Ma a suo avviso quel voto ha un significato più ampio. Dunque, ora si deve tornare lì, a Montecitorio, a dire chiaro e tondo che a Milano non hanno titolo ad indagare sul primo ministro. «Fini non può impedirlo», stringe i pugni il premier. La terza carica dello Stato ha fatto intendere che a pronunciarsi sul fatto deve essere l’ufficio di presidenza, dove la maggioranza è sotto, ma non conta, «in un modo o in un altro torneremo a far votare l’Aula». E se l’ex co-fondatore si metterà di traverso, i suoi non gliela faranno passare liscia, lo attaccheranno, lo staneranno. «Siamo alla resa dei conti, mi difenderò in ogni luogo e vincerò», è il guanto di sfida.In parallelo, i suoi uomini alla Camera ripartono a testa bassa sul processo breve. Nel primo pomeriggio il capogruppo Pdl in commissione Giustizia, Enrico Costa, con tanto di apertura all’opposizione per «modificare le norme transitorie», chiede di riprendere l’iter del provvedimento. E la sua iniziativa è oleata da interventi autorevoli di Capezzone, del ministro Alfano, del leghista Calderoli, per dire che il provvedimento è «necessario, obbligatorio», serve a «dare tempi certi alla giustizia» (le posizioni del Guardasigilli, unite alla sua partecipazione al vertice di palazzo Grazioli sul caso-Ruby, gli valgono l’etichetta di «ministro ad personam» affibiatagli dal Pd). La patata bollente è per qualche ora nelle mani della presidente di commissione, la finiana e neomamma Giulia Bongiorno, che dopo prime avvisaglie di polemiche («non può fare ostruzionismo», gridano in modo preventivo gli azzurri) calendarizza la ripresa della discussione a martedì 15 febbraio. Ci saranno nuove audizioni ad integrazione di quelle già registrate, ma probabilmente non saranno ascoltati tutti i 27 presidenti di Corte d’Appello, come chiesto dalla Pd Donatella Ferranti per frenare il cammino del testo.Prima di riprendere la guerra a distanza con i pm, il premier si era imposto una mattinata all’insegna dei «fatti», come dimostra il summit con i "ministri economici" Tremonti e Romani. Il Cdm di oggi è lo snodo nella strategia che tende a rilanciarne l’immagine, e, in generale, l’impressione che vuole dare è che "frustata economica", federalismo, milleproroghe, segreteria del Senato, insomma tutte le «cose concrete» vengano prima delle vicende giudiziarie. E che vengano prima anche del rimpasto. Su questo versante si registra un mini-rinvio, che ha ripercussioni anche sul riequilibrio delle commissioni (il riconoscimento nell’esecutivo, ragionano i responsabili, va di pari passo con quello parlamentare...). Anche Pannella, in serata, nega la possibilità che i radicali accettino ministeri o entrino nella maggioranza. Ma ribadisce di non gradire le dimissioni del Cavaliere per mano di magistrati che «invece lasciano impunito un regime come quello di Cl». «È pazzo», replica il presidente lombardo Formigoni.