giovedì 5 agosto 2010
«Non più autosufficienti». Letta chiama il Colle
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«Inumeri sono chiari. E io non voglio e non posso fare finta di nulla. Devo ammettere la realtà: questo governo non è più autosufficiente». E già buio quando Silvio Berlusconi fotografa con i collaboratori più stretti la nuova situazione dopo lo strappo con Gianfranco Fini. Ripete quattro parole il premier: «Non siamo più autosufficienti». Le spiega: «Il punto non è non essere arrivati a quota 316. Quello è successo altre volte, anzi succede quasi sempre. Ma la novità su cui sarebbe sciocco non riflettere è un’altra: le astensioni e i voti contro Caliendo superano quelli a favore». Due cifre: 304 contro 299. Berlusconi le ripete quasi meccanicamente, poi arriva al punto: «Il voto oggi è nettamente più vicino. E io sono pronto a rilanciare la sfida e a spiegare al Paese i motivi».Sono ore complicate. Gianni Letta prova a frenare il Cavaliere, ma la scelta questa volta sembra davvero presa. E allora tocca al sottosegretario chiamare Stromboli per avvertire il capo dello Stato partito per l’isola siciliana proprio alla vigilia del voto su Caliendo. L’accelerazione sembra netta. E anche Bossi che a caldo aveva commentato l’esito della mozione escludendo un voto ravvicinato («Questo è il segnale che resistiamo»), ora dopo ora, prende coscienza della nuova realtà e avverte: «Siamo pronti ad andare ad elezioni con Berlusconi. Quel giorno la Lega non solo vince; stravince». Tutti capiscono che continuare così sarà complicatissimo. E tutti parlano di elezioni in autunno senza nemmeno usare il condizionale.«Eravamo il Paese più stabile in Europa qualcuno vuole farci tornare all’instabilità di prima»: così il premier si sfoga in serata a cena con i suoi deputati. «Avevamo una maggioranza straordinaria, un governo compatto e una squadra di giovani ministri motivati da grande idealismo, un esecutivo che ha risposto con grande efficacia alle emergenze. Non c’era nessuna possibilità che un mandato così largo degli elettori fosse messo in discussione. E invece è successo ciò che è successo e anche domani leggeremo sui giornali internazionali descrizioni di un’Italia tornata inaffidabile».Berlusconi sfoglia l’agenda. Si ferma sui primi giorni di ottobre: «Sciogliere qui e così votare entro novembre». Il premier pensa alla campagna elettorale, tutta giocata per spiegare i responsabili della crisi. «Io avevo una maggioranza ampia e Gianfranco Fini l’ha devastata...Mi ha logorato per mesi dall’interno e ora vuole continuare a farlo dall’esterno. La scelta di puntare su Bocchino capogruppo è un segnale che davvero non posso sottovalutare». È un’analisi impietosa. Berlusconi racconta di possibili difficoltà nel gestire, numeri alla mano, commissioni importanti. E svela un particolare: il federalismo non è a rischio; anche se non chiudiamo ora chiuderemo una volta rivinte le elezioni.C’è solo il voto. Berlusconi esclude governi tecnici, istituzionali, di transizione. E sottovoce ammette di confidare nel capo dello Stato. «C’è una sola strada. Perché non posso restare in mezzo al guado: devo muovermi subito. Devo farlo ora che sono forte. Senza dargli tempo per riorganizzarsi».
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