L’annuncio non poteva darlo Angelino Alfano. A lui, semmai, tocca disegnare il futuro. Silvio Berlusconi, invece, ha voluto essere il padrone assoluto del suo ultimo giorno al centro del ring: «Per amore dell’Italia si possono fare pazzie e cose sagge. Diciotto anni fa sono sceso in campo, una follia non priva di saggezza. Ora, per lo stesso amore che mi ha mosso allora, faccio un passo indietro. Non ripresenterò la mia candidatura a premier. Con primarie aperte nel Popolo della libertà sapremo entro dicembre chi sarà il mio successore, dopo una competizione serena e libera tra personalità diverse e idee diverse cementate da valori comuni. Suggerisco una data, il 16 dicembre». A 14 giorni di distanza dal ballottaggio delle primarie di centrosinistra, sette giorni prima che l’Italia si catapulti nel Natale.Sono le 17.58 del pomeriggio che chiude un’era. Il Cavaliere ha da pochi minuti licenziato una nota sofferta, non priva di passaggi emotivi, che mette nero su bianco, e definitivamente, l’intenzione di dare una svolta al centrodestra. Con lui in panchina per «offrire consigli e memoria senza intrusività», per mettere «muscoli e un po’ di testa, che sono ancora buoni, a fianco dei giovani che ora devono fare gol». E con le primarie, che chiameranno a raccolta «gli italiani che credono nell’individuo e nei suoi diritti naturali, nella libertà politica e civile di fronte allo Stato». La gente del ’94, insomma, quel coagulo di «idee e interessi decisivi per riformare un Paese in crisi, un Paese però straordinario per intelligenza e storia, che ce la può fare, che può vincere la sua battaglia europea ed occidentale contro le ambizioni smodate degli altri e i propri vizi».Ma il manoscritto dell’ex premier non è un canto del cigno. È un condensato di indicazioni programmatiche che restano, eccome, sulle spalle di Alfano e degli altri che vogliono raccogliere la sua eredità. E la più importante delle indicazioni riguarda Mario Monti: «Un anno fa abbiamo fatto una scelta responsabile, abbiamo affidato la guida provvisoria dell’Italia, in attese delle elezioni politiche, al senatore e tecnico Monti, espressione di un Paese che non ha mai partecipato alla caccia alle streghe. Lui ha fatto quello che ha potuto, cioè molto, nella situazione politica italiana e nelle condizioni europee e mondiali dell’economia. Sono stati commessi errori, alcuni riparabili, ci sono state misure fiscali sbagliate, ma la direzione riformatrice e liberale è chiara. E così l’Italia con coraggio ha respinto le velleità neocoloniali di alcuni circoli europei».Il Cavaliere vuole pure - ed è il secondo indirizzo politico - che il nuovo leader non getti al macero la «riforma più importante dei 150 anni di unità d’Italia», l’idea dell’alternanza di governi «scelti dal popolo», non dalla «politica dei partiti né dalle nomenklature», e nemmeno da lobbisti, giornalisti o da chi «ha vinto un concorso in magistratura o nella pubblica amministrazione». Tutto ciò, dice, è stato chiamato «populismo e antipolitica», ma ha il pregio di aver reso «emozionante la partecipazione alla vita pubblica». La controindicazione, dice, è stata la «deriva verso sentimenti di avversione verso la mia persona, verso denigrazioni e delegittimazioni faziose». Accenna poi a «limiti» ed errori del suo operato, ma non va a fondo.Nel suo discorso manca un nome, Giorgio Napolitano. Ma c’è il richiamo ad una vocazione europeista - seppur critica con il rigorismo di Angela Merkel - che negli ultimi mesi sembrava mancare nel Pdl, ad una «Unione più solida e interdipendente, con regole di parità ed equità tra nazioni e popoli». È il tentativo di agganciare il treno dei moderati e del centrodestra a Mario Monti e all’esperienza dei tecnici, che ora Berlusconi legge in piena (o quasi) continuità con i suoi 18 anni sulla scena pubblica. «Ma ora lo sforzo riformatore – è l’avviso ad Alfano, Casini, Montezemolo, Marcegaglia e ai ministri moderati dell’esecutivo in carica – è in serio pericolo. Una coalizione di sinistra vuole tornare indietro, alle logiche che hanno prodotto la montagna del debito pubblico e l’esplosione del Paese corporativo e pigro che conosciamo». Sta al Pdl, al suo segretario e a una «generazione giovane» rifare «il miracolo del ’94».