giovedì 11 marzo 2010
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È il «papà» della legge 62 varata dieci anni fa. Luigi Berlinguer, allora ministro diessino dell’Istruzione, oggi siede al Parlamento Europeo e continua a occuparsi di educazione. Cosa la convinse dell’opportunità e della necessità di giungere a quella legge?«Il mio input è stato quello dell’attuazione di un principio costituzionale, in particolare di un gruppo di articoli (2, 3, 30, 33 e 34 ndr) che parlano dell’attività educativa e dell’istruzione a tutto tondo. Decisi che era necessario normare una parte che fino ad allora non lo era stata: il sistema nazionale d’istruzione. Il suo cemento è la natura pubblica della finalità di istruire, che è un bene pubblico. Poi c’è un altro punto che mi ha spinto molto in tale direzione: il diritto dello studente ad un trattamento equipollente indipendentemente dalla scuola frequentata. E poi ho visto l’esperienza all’estero».Cosa in particolare?«Le scuole cattoliche in Libano e Siria, quelle in Giappone, l’Università cattolica di Betlemme. Tutte realtà frequentate dalla stragrande maggioranza di studenti non cristiani. Lì ho visto in concreto quello che mi disse il cardinale Pio Laghi, allora mio omologo vaticano: "la catechesi si fa in chiesa, non a scuola". Ecco perché ritengo che la legge 62 sia una legge laica, molto laica sulla parità, perché afferma che lo studente di una scuola paritaria deve essere libero di aderire a qualsiasi credo religioso, ma deve anche accettare il progetto educativo proposto dalla scuola. Progetto che deve essere presente anche nella scuola statale».Dieci anni sono un periodo adeguato per un primo bilancio. Prevale ancora l’ottica statalista?«Su questo tema continua a prevalere un confronto ideologico che certo non aiuta a migliorare la situazione. Oggi ritengo che la legge sia attuata al minimo delle sue potenzialità. Non si sono create ancora le condizioni di maturazione politica e psico-politica su questo argomento. Non ci credono, la considerano estranea, il mondo ministeriale, quello politico, il governo».Pensa che la prevalenza della scuola cattolica sia stata un alibi, per un approccio equanime al discorso della parità in un’ottica laica? Eppure Lei qualche giorno fa in un convegno ha detto che "senza cattolici, non si fa la laicità in Italia".«In realtà questo riferimento riguardava un vechio ragionamento del Pci - sempre valido - secondo il quale se nel nostro Paese si vuole affermare un ampio tasso di laicità in tutti i problemi, nel rispetto del credo individuale, occorre l’apporto a questo obbiettivo da parte di tutti, laici e credenti. Per la scuola, invece, parto dal principio che siccome la Costituzione prevede il diritto di enti e privati di creare scuole occorre rispettarla e, ripeto, andava normata. Dunque le scuole paritarie stanno a pieno diritto nel sistema scolastico nazionale».Anche se qualcuno storce ancora la bocca..«Fu una grande intuizione che oggi può aiutare anche il nuovo scenario nel quale cresce l’attenzione sia verso la formazione professionale sia verso la formazione lungo l’intero arco della vita. Proprio in questa prospettiva è impensabile che lo Stato possa fare fronte a tutto. La legge 62, oltre all’esperienza degli altri Paese, ci insegna che questo scenario richiede l’apporto di diversi soggetti».Lei è stato anche il ministro dell’autonomia scolastica. Anche in questo caso dobbiamo parlare di riforma zoppa?«Più che zoppa la definirei bonsai, visto che è attuata a meno del 10% delle potenzialità. Purtroppo non ci crede l’apparato ministeriale e neppure quello politico. L’autonomia che pensavamo non è solo l’elaborare progetti, ma soprattutto immaginare percorsi di apprendimento più efficaci per aiutare tutti gli studenti, evitando che per alcuni l’unica scelta sia l’uscita dal sistema scolastico. Doveva dare vita a un’altra scuola, quella dell’apprendimento. E quindi l’autonomia ne è una premessa, per renderla capace di guardare anche all’esterno dove si concentra molta dell’educazione informale che raggiunge lo studente».Un’attenzione che le paritarie mostrano da sempre.«E proprio a loro vorrei dire di mettersi ancora più in gioco, per creare uno spirito di emulazione, di confronto per ottenere il meglio, con le altre scuole statali. Una sfida per tutte le scuole perché in autonomia sappiano interpretare i cambiamenti del mondo di oggi».
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