Taranto, zona Cimino Manganecchia, un angolo con vista suggestiva sul Mar Piccolo, dove ancora Marina e Aeronautica hanno le loro basi. In lontananza, appena visibili, le ciminiere dell’Ilva. Loro, le silenziose sentinelle con tanto di rami e foglie, sarebbero in grado di tener testa anche ai veleni del gigante siderurgico. Ma per il momento, come bravi soldatini, fanno il proprio dovere a una decina di chilometri in linea d’aria, riducendo a brandelli, giorno dopo giorno, le lunghe molecole del Pcb, un inquinante altamente cangerogeno, e assorbendo i metalli pesanti rinvenuti nell’area: piombo, zinco, rame. Le sentinelle speciali di cui stiamo parlando sono i pioppi e le tamerici piantati per la fitodepurazione di questo sito, dismesso dalla Marina Militare e assegnato in concessione al Centro Educativo Murialdo (Cem), un’associazione promossa dai Giuseppini del Murialdo, con l’appoggio della diocesi tarantina, e da oltre 30 anni attiva nella pastorale sociale e nell’avviamento al lavoro (fa parte anche del Progetto Policoro per la promozione dell’autoimprenditorialità).
La storia recente di questo appezzamento di terreno di quattro ettari e mezzo parla, infatti, una lingua opposta a quella del pessimismo che da mesi tiene banco a Taranto. Lingua di speranza e di rinascita, che è riuscita a trasformare in opportunità anche un evento non proprio positivo. Il Cem, infatti, qualche hanno fa ha ricevuto lo sfratto dalla Casa Cantoniera che costituisce la sua base operativa. L’Anas la rivuole indietro dopo che i volontari l’hanno ristrutturata a proprie spese. Quindi parte la ricerca di una nuova sede. La scelta cade su Cimino Manganecchia, ma i problemi non sono finiti. «Quando siamo arrivati qui racconta padre Nicola Preziuso, direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale sociale e vera anima del progetto - questo luogo era una discarica a cielo aperto. Per di più, facendo le analisi, ci siamo accorti che mezzo ettaro era contaminato da Pcb e metalli pesanti. Così, poco dopo l’assegnazione ci è arrivata anche un’ingiunzione di bonifica. Se avessimo seguito le indicazioni degli enti preposti, avremmo dovuto spendere non meno di 350mila euro».
Per fortuna oggi esiste internet. «Avevo letto sul web delle tecniche di fitodepurazione - ricorda Angela Gentile, responsabile del progetto educativo del Cem -. Il resto è stato un colpo di fortuna, o forse un intervento della Provvidenza: l’incontro con Vito Uricchio del Cnr di Bari, ricercatore esperto di fitodepurazione. Il progetto di disinquinamento è partito così e ha avuto l’appoggio anche della diocesi, del Politecnico e dell’Università di Bari». Il 18 aprile scorso 640 talee di pioppi e 300 tamerici sono stati piantati. Otto mesi dopo le piante sono alte già tre metri. In un’altra parte del terreno inquinato è stato seminato il compost. E anche questa sostanza sta producendo i suoi frutti. Lì dove prima c’erano solo rifiuti e terra brulla, adesso c’è una distesa di fiori di campo. «È il segnale - dice padre Nicola - che il terreno sta riprendendo la sua fertilità. Fra tre o quattro anni, qui non ci sarà più nemmeno l’ombra di Pcb e metalli. E avremo restituito alla città un piccolo angolo di paradiso». Tra l’altro a un costo irrisorio: l’intervento ha richiesto 4-5mila euro.
Fine della storia? Neanche per idea. Padre Preziuso già guarda oltre. Sul terreno sono presenti 52 ulivi secolari (per fortuna nei quattro ettari sani) dai quali è stato ricavato del buon olio. E soprattutto ci sono 6 edifici in abbandono che verranno presto ristrutturati. Il progetto prevede una foresteria, sale per riunioni e convegni, la cappella, e i laboratori di arti e mestieri, compreso quello di panetteria e pasticceria. Il Cem avrà così una sede operativa più grande. Per continuare a fare anche lui da sentinella. Contro la disoccupazione.