Volontari della Caritas nella baraccopoli sotto il viadotto - Collaboratori
Fa caldissimo a Crotone, ma la giovane famiglia tunisina, papà Ahmed, 23 anni, mamma Fatima, 30 anni e il piccolo Firas di appena 2 anni, sono in mezzo alla strada. Il sole è implacabile, non hanno un posto dove andare. Sbarcati a Lampedusa a metà luglio, hanno ricevuto dalla Questura di Agrigento un decreto di respingimento che ignora non solo che sono una famiglia, ma soprattutto la presenza di un minore. Due decreti singoli, uno per lei e uno per lui. Il bimbo non esiste. «Con un minore non avrebbero potuto emettere il decreto di respingimento» spiega Ramzi Labidi responsabile dell’Area Mondialità e Migrazione della Caritas della diocesi di Crotone-Santa Severina. E proprio la Caritas è stata la salvezza della famiglia tunisina. Non solo viene accolta e ospitata nel dormitorio, ma il servizio legale riprende in mano la pratica.
Li rincontriamo alcune ore dopo in una delle camere del dormitorio, finalmente al fresco e tranquillizzati. Gli operatori della Caritas hanno ricostruito la loro incredibile storia. «Non hanno avuto neanche un mediatore linguistico per spiegare i loro diritti». E, infatti, nel decreto si legge che «quest’ufficio dispone unicamente di interpreti delle principali lingue veicolari (inglese, francese e spagnolo) e non è stato possibile reperire alcun interprete madrelingua, disponibile nell’immediatezza, malgrado le ricerche effettuate nell’ambito della comunità del cittadino straniero».
Questa storia non è l’unica. Anzi, «sono in aumento». A marzo, ricordano gli operatori, sono arrivate due famiglie curde con bimbi piccoli, sbarcate a Crotone. «Gli hanno fatto la domanda "Vuoi restare in Italia o andare all’estero?". E alla risposta "estero" è scattato subito il decreto di respingimento, malgrado la presenza dei minori. Li hanno portati alla stazione, senza biglietto né Green pass. Ora li ospitiamo noi e li abbiamo anche vaccinati».
Sono gli effetti dei cosiddetti decreti sicurezza che fanno finire per strada tanti immigrati. O nei ghetti, come la baraccopoli di Crotone, “sotto al ponte” la chiamano, perché è sorta da anni sotto un lungo cavalcavia, a poche centinaia di metri dalla stazione. Eppure per le autorità locali e le istituzioni statali non esiste. Invece c’è, eccome. Ci siamo stati assieme agli operatori e volontari del Progetto presidio della Caritas.
Sono una cinquantina di baracche di cartone, plastica e coperte. Addirittura utilizzando gli striscioni pubblicitari di un circo e di un candidato delle ultime elezioni comunali. Possono ospitare anche più di 200 persone. Tutte senza permesso di soggiorno, in gran parte perso a causa dei decreti sicurezza. Non c’è acqua né luce. L’acqua si potrebbe prenderla alla vicina stazione, ma le forze dell’ordine lo impediscono e allora gli immigrati si riforniscono da un distributore di carburanti. Per la luce ci ha pensato la Caritas, acquistando 20 minipannelli fotovoltaici che permettono di avere un po’ di luce e di ricaricare i cellulari.
La presenza della Caritas è l’unica, perché questo insediamento va negato. Così gli immigrati fanno da soli. C’è la baracca moschea, la baracca doccia, la baracca latrina. E addirittura uno di loro ha realizzato un’area fitness, con pesi e bilancieri autocostruiti per tenersi in forma. Per il resto ci pensano operatori e volontari, dal cibo ai presidi sanitari. Anche al sostegno legale.
Perché tutti lavorano in nero, perché senza permesso di soggiorno non hanno neanche la residenza. E senza residenza non possono neanche avere un contratto regolare, né accedere alla sanatoria. A meno di accettare strade illegali. C’è chi, a pagamento, falsifica residenze e agibilità. Si fanno contratti falsi per ottenere la sanatoria ma poi gli immigrati, oltre a dover pagare la pratica, devono lavorare gratuitamente. «Uno aveva addirittura una tipografia specializzata in falsificazione di documenti». Mentre le “scorciatoie” illegali fioriscono, la Caritas che ha seguito 20 casi non ha ottenuto neanche una sanatoria.
Ci spostiamo poi a Isola di Capo Rizzuto, dove si trova il grande Cara di Sant’Anna. Qui, come abbiamo denunciato quasi due anni fa, continua il mercato delle braccia. Il Cara attualmente ospita circa 700 immigrati (ma è arrivato anche a 1.300). Ogni mattina alle 8 ne escono un centinaio per andare a lavorare. Fanno due notti fuori, soprattutto in grandi capannoni abbandonanti, e poi rientrano perché dopo tre giorni si perde il diritto all’accoglienza. Restano una notte nel Cara e ricominciano. Fanno così per poter andare all’alba (quando il Cara è chiuso) nei luoghi di “arruolamento” dei caporali. Un fenomeno che avanti da anni, sotto gli occhi di tutti, ma ancora una volta non si vuole vedere e nessuno interviene.