sabato 3 novembre 2012
​All’indomani del discusso provvedimento, i servizi sociali della città emiliana spiegano la loro decisione: «Nella nuova struttura potranno ritrovare l’intimità familiare». La mamma però resterà ancora per mesi in carcere.
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​Se i due fratellini di 3 e 5 anni sono stati tolti alla casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII – fanno sapere i Servizi sociali del Comune di Modena – è perché «già da tempo stavamo lavorando per trovare una collocazione che permettesse in futuro il ricongiungimento con la madre». E se non si è deciso di lasciare i due bimbi nell’ambiente in cui vivevano sereni da venti mesi, accogliendo lì anche la loro giovane mamma (una ragazza nomade, attualmente in carcere), è perché «non eravamo a conoscenza della disponibilità della casa famiglia ad accogliere anche i genitori», specifica Annalisa Righi, la dirigente del Comune che il 31 ottobre ha personalmente prelevato i due bambini da Ferrara e li ha portati nella nuova struttura, nonostante tutti i tentativi fatti dalla Papa Giovanni di fermare il trasferimento.La nuova comunità – precisa inoltre la Righi – «lascia spazi di autonomia in un contesto altamente tutelante» e questa, «proprio per la giovane età» dei piccoli, «è una soluzione migliorativa, più idonea al congiungimento familiare, in grado di ricreare una maggiore intimità familiare».Ieri Avvenire aveva raccolto dalla "mamma" della casa famiglia, Maria Grazia Ferioli, e dalla legale della Papa Giovanni XXIII, Annalisa Chiodoni, l’accorato appello: dopo quasi due anni che i servizi sociali di Modena avevano "collocato" (il termine tecnico purtroppo è questo) i due fratellini nella casa famiglia, dove vivevano con una "mamma", un "papà" e altri tre bambini accolti temporaneamente in attesa del ricongiungimento familiare, gli stessi servizi sociali li hanno presi e portati altrove, senza una adeguata preparazione psicologica e nonostante già venti mesi fa avessero subìto un primo doloroso distacco dalla madre naturale.Venti mesi per un bimbo di tre anni sono i due terzi della sua vita, «e questo secondo distacco è ancora più traumatico del primo», spiegava ieri la legale della Comunità fondata da don Benzi, una delle realtà in assoluto più competenti ed esperte proprio nell’accoglienza dei minori e nel ricongiungimento con i loro genitori dopo il carcere.«Vista l’inutilità del ricorso, abbiamo elemosinato almeno che ce li lasciassero ancora nei quattro giorni di festa (i Santi, i Morti, sabato e domenica), così che potessimo portarli ogni giorno a visitare la nuova struttura, dire loro che sarà molto più bella, e riparlarne con entusiasmo la sera a casa... La dirigente ci ha chiesto se eravamo disposti a fare avanti e indietro, abbiamo risposto assolutamente sì per il bene dei bambini, ma poi anche questo ci è stato negato: ha infatti sostenuto che, essendo così piccoli, non capiscono e non soffrono il trasferimento, né hanno bisogno della gradualità che noi auspicavamo». «Vista la tenera età, portare avanti e indietro i bambini nella nuova comunità prima del trasferimento sarebbe stato controproducente e avrebbe creato in loro maggiore confusione», conferma ad Avvenire la Righi.Nulla si sa della scarcerazione della giovane sinti, che dovrebbe avvenire tra mesi, e resta incomprensibile una procedura così improvvisa e rapida, soprattutto vista «la collaborazione sempre ottima con la Comunità Papa Giovanni XXIII, di cui abbiamo grande stima», come sottolinea la stessa Righi. «Trasferire i piccoli prima della madre consentirà a loro di ambientarsi e alla madre di trovare una situazione più stabile al suo arrivo, così da garantirle più possibilità di tenuta», risponde la dirigente. Alla quale l’avvocato Chiodoni ricorda invece che «i bambini non sono degli scaldaposto» e «una visione adulto-centrica dimentica che l’obiettivo prioritario sono sempre loro».
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