giovedì 9 luglio 2009
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Badanti italiane? « No, grazie » . Le lavoratrici di aziende in crisi pre­feriscono non riciclarsi verso questa professione. Non la trovano interessante. In un la­nificio del Veneto, su 117 can­didate alla mobilità, meno di una decina ha aderito alla proposta di corsi di forma­zione finalizzati all’assisten­za. E le colf italiane sono po­co più di una su cinque ( 22,3%), come ha certificato una recente indagine dell’I­ref Acli. Sposate, separate o vedove con età superiore ai 40 anni, le nostre connazio­nali sono disponibili a svol­gere prevalentemente lavori domestici. E solo ad ore. I ca­richi assistenziali più pesan­ti sono sulle spalle delle stra­niere. Che sono 1 milione e 134mila, di cui 634mila i­scritte all’Inps, 500mila irre­golari.«L’ultimo decreto flus­si 2008 aveva previsto ingres­si per poco più di 100mila ( 105.400), in aggiunta al de­creto precedente che aveva registrato 420.366 domande per lo svolgimento di attività domestiche e di cura sul to­tale di 740.813 istanze pre­sentate » , puntualizza Raffae­la Majoni, responsabile na­zionale delle Acli Colf. Provenienza e destinazione. La stragrande maggioranza arriva dall’estero. E quasi tut­te sono donne: 87% fra gli im­migrati, addirittura il 96% tra gli italiani. Un’assistente di fa­miglia ogni 5 è romena, il 12,7% arriva dall’Ucraina, il 9% dalle Filippine e il 6% dal­la Moldavia. Seguono, a di­stanza considerevole, Perù, E­cuador, Polonia e Sri Lanka, con percentuali che vanno dal 3,6 al 2,8%. Secondo dati della Cgil, il 23% lavora nel Lazio, il 20% in Lombardia, il 7% in Piemonte, l’ 8% in Ve­neto, l’ 8,3% in Emilia- Roma­gna e il 7% in Toscana. Divise 6 famiglie su 10. Il 60% delle badanti straniere ha do­vuto lasciare la famiglia. Il 57% vive ancora lontano dai propri figli, che sono affidati alle cure dei nonni, piuttosto che dell’altro coniuge ( 41%) o dei parenti ( 41%). Come entrano. Oltre 6 lavo­ratrici su 10 ( 63%) sono en­trate in Italia con un visto tu­ristico e il 18% per vie traver­se. Quasi una colf su quattro ( 24%) dichiarava - al tempo della ricerca - di vivere e la­vorare in condizione di irre­golarità. Il 54% aveva un re­golare permesso di soggior­no, il 18% una carta di sog­giorno. Lavoro sommerso. Al Sud piuttosto che al Nord è mol­to diffuso e incrocia il 57% delle donne. Oltre la metà ( 55%) rileva delle irregolarità nei versamenti previdenzia­li, il 24% denuncia l’assenza dei contributi, il 31% solo parzialmente. «Al lavoro nero si sovrappone dunque il la­voro “grigio”, cioè la tenden­za a denunciare meno ore di quelle lavorate - sottolinea con preoccupazione Majoni -. Ma è interessante notare che 6 volte su 10 questa op­zione è il frutto di una scelta concordata dalle parti: dato­ri di lavoro e collaboratrici fa­miliari. Oppure sono le stes­se colf a chiedere di essere pa­gate in nero ( 14%) » . Lo stipendio. È di 880 euro ( circa 6 euro l’ora) lo stipen­dio medio al mese di una col­laboratrice familiare, su una media lavorativa di 42 ore set­timanali. « Chi è più “fragile” - perché irregolare e in Italia da meno di due anni - non so­lo lavora in media 17 ore in più a settimana rispetto a chi è regolare e risiede nel nostro Paese da oltre 10 anni ( 50 ore contro 33). Ma guadagna me­diamente meno di 750 euro mensili, a fronte degli oltre 1000 delle colf più esperte e un regola. Le ore poi di straor­dinario - oltre cioè le 40 set­timanali - fruttano a queste lavoratrici più fragili un gua­dagno aggiuntivo di soli 145 euro » . Che cosa fanno. Ogni 10 colf, circa 6 hanno in carico o­ver65. Un terzo lavora per fa­miglie con figli. Una colf su tre opera nei confronti di più famiglie. Il 31% - soprattutto le donne asiatiche - provve­dono a pulizia e gestione del­la casa, fornendo prestazioni a ore. È invece composto da tate o baby- sitter il 17% delle colf. Oltre la metà ( 51%) svol­ge le classiche mansioni da badante. È un lavoro affidato in prevalenza a donne adulte ( il 39% ha oltre 45 anni) pro­venienti soprattutto (38%) dai Paesi dell’ex Urss, come U­craina e Moldavia. In genera­le, una colf su tre vive nella casa in cui presta servizio. La percentuale sale al 63% tra chi lavora accanto ad anziani rimasti soli. In questi casi l’impegno richiesto va ben al di là del normale rapporto di lavoro e implica una forte li­mitazione dell’autonomia: non è quindi un caso che nel 72% delle badanti sia venuta in Italia sola o con il fidanza­to o il marito.
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