Badanti italiane? « No, grazie » . Le lavoratrici di aziende in crisi preferiscono non riciclarsi verso questa professione. Non la trovano interessante. In un lanificio del Veneto, su 117 candidate alla mobilità, meno di una decina ha aderito alla proposta di corsi di formazione finalizzati all’assistenza. E le colf italiane sono poco più di una su cinque ( 22,3%), come ha certificato una recente indagine dell’Iref Acli. Sposate, separate o vedove con età superiore ai 40 anni, le nostre connazionali sono disponibili a svolgere prevalentemente lavori domestici. E solo ad ore. I carichi assistenziali più pesanti sono sulle spalle delle straniere. Che sono 1 milione e 134mila, di cui 634mila iscritte all’Inps, 500mila irregolari.«L’ultimo decreto flussi 2008 aveva previsto ingressi per poco più di 100mila ( 105.400), in aggiunta al decreto precedente che aveva registrato 420.366 domande per lo svolgimento di attività domestiche e di cura sul totale di 740.813 istanze presentate » , puntualizza Raffaela Majoni, responsabile nazionale delle Acli Colf. Provenienza e destinazione. La stragrande maggioranza arriva dall’estero. E quasi tutte sono donne: 87% fra gli immigrati, addirittura il 96% tra gli italiani. Un’assistente di famiglia ogni 5 è romena, il 12,7% arriva dall’Ucraina, il 9% dalle Filippine e il 6% dalla Moldavia. Seguono, a distanza considerevole, Perù, Ecuador, Polonia e Sri Lanka, con percentuali che vanno dal 3,6 al 2,8%. Secondo dati della Cgil, il 23% lavora nel Lazio, il 20% in Lombardia, il 7% in Piemonte, l’ 8% in Veneto, l’ 8,3% in Emilia- Romagna e il 7% in Toscana. Divise 6 famiglie su 10. Il 60% delle badanti straniere ha dovuto lasciare la famiglia. Il 57% vive ancora lontano dai propri figli, che sono affidati alle cure dei nonni, piuttosto che dell’altro coniuge ( 41%) o dei parenti ( 41%). Come entrano. Oltre 6 lavoratrici su 10 ( 63%) sono entrate in Italia con un visto turistico e il 18% per vie traverse. Quasi una colf su quattro ( 24%) dichiarava - al tempo della ricerca - di vivere e lavorare in condizione di irregolarità. Il 54% aveva un regolare permesso di soggiorno, il 18% una carta di soggiorno. Lavoro sommerso. Al Sud piuttosto che al Nord è molto diffuso e incrocia il 57% delle donne. Oltre la metà ( 55%) rileva delle irregolarità nei versamenti previdenziali, il 24% denuncia l’assenza dei contributi, il 31% solo parzialmente. «Al lavoro nero si sovrappone dunque il lavoro “grigio”, cioè la tendenza a denunciare meno ore di quelle lavorate - sottolinea con preoccupazione Majoni -. Ma è interessante notare che 6 volte su 10 questa opzione è il frutto di una scelta concordata dalle parti: datori di lavoro e collaboratrici familiari. Oppure sono le stesse colf a chiedere di essere pagate in nero ( 14%) » . Lo stipendio. È di 880 euro ( circa 6 euro l’ora) lo stipendio medio al mese di una collaboratrice familiare, su una media lavorativa di 42 ore settimanali. « Chi è più “fragile” - perché irregolare e in Italia da meno di due anni - non solo lavora in media 17 ore in più a settimana rispetto a chi è regolare e risiede nel nostro Paese da oltre 10 anni ( 50 ore contro 33). Ma guadagna mediamente meno di 750 euro mensili, a fronte degli oltre 1000 delle colf più esperte e un regola. Le ore poi di straordinario - oltre cioè le 40 settimanali - fruttano a queste lavoratrici più fragili un guadagno aggiuntivo di soli 145 euro » . Che cosa fanno. Ogni 10 colf, circa 6 hanno in carico over65. Un terzo lavora per famiglie con figli. Una colf su tre opera nei confronti di più famiglie. Il 31% - soprattutto le donne asiatiche - provvedono a pulizia e gestione della casa, fornendo prestazioni a ore. È invece composto da tate o baby- sitter il 17% delle colf. Oltre la metà ( 51%) svolge le classiche mansioni da badante. È un lavoro affidato in prevalenza a donne adulte ( il 39% ha oltre 45 anni) provenienti soprattutto (38%) dai Paesi dell’ex Urss, come Ucraina e Moldavia. In generale, una colf su tre vive nella casa in cui presta servizio. La percentuale sale al 63% tra chi lavora accanto ad anziani rimasti soli. In questi casi l’impegno richiesto va ben al di là del normale rapporto di lavoro e implica una forte limitazione dell’autonomia: non è quindi un caso che nel 72% delle badanti sia venuta in Italia sola o con il fidanzato o il marito.