Pubblichiamo ampi stralci dell’omelia pronunciata domenica scorsa, 30 novembre, dal vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Cei, durante la Messa celebrata a Milano nella chiesa delle Abbadesse, in occasione dei 40 anni del nostro quotidiano.Carissimi,la convocazione di questa assemblea, pensata nel quadro delle celebrazioni dei quarant’anni di Avvenire, in quanto celebrazione eucaristica conferisce all’anniversario una connotazione che oserei definire spirituale, meglio ancora rileva - dell’evento ecclesiale commemorato - proprio il carattere di evento spirituale. Ogni evento genuinamente ecclesiale possiede una qualità essenzialmente spirituale poiché la Chiesa stessa nasce e vive nello Spirito; e nello stesso Spirito trova avvio tutto ciò che in essa fedelmente si compie. Non c’è dubbio che la nascita del nostro quotidiano ha all’origine una intuizione pastorale che non è improprio cogliere nella sua qualità di ispirazione, nel senso di ispirazione pastorale che come tale, per noi credenti, rimanda alle sollecitazioni che lo Spirito suscita e dissemina nel tessuto delle relazioni e della vita ecclesiale. Questa qualità si segnala come ancora più appropriata se solo si pone mente al legame intimo che sussiste tra comunicazione e Vangelo. Nessuno qui intende confondere l’azione ecclesiale specifica della evangelizzazione, pur in tutte le sue svariate forme, e il compito di un quotidiano nell’agorà del circuito mediatico odierno. Nondimeno nessuno pure potrà negare che i mezzi di comunicazione si inseriscono a pieno titolo, secondo la peculiarità della loro forma comunicativa, nell’orizzonte della missione evangelizzatrice della Chiesa. In realtà la comunicazione attraverso il giornale quotidiano, come pure attraverso altri media, si ricollega alla radice evangelica di ogni dimensione ecclesiale, prima che per il suo farsi eventualmente palestra esplicita di annuncio - ciò che richiede attenzione e stile appropriati -, piuttosto per il suo esprimere una lettura credente delle vicende umane. Se di evangelizzazione si tratta, quella di un quotidiano è un annuncio di secondo grado, mediato da una assimilazione del Vangelo tale da farlo passare attraverso uno sguardo educato a proiettare la sua luce sui fatti e sulla vita dell’uomo. In questo senso mi piace chiosare, se non risulta stucchevole, il senso trasmesso dal nome stesso del nostro giornale - Avvenire -, che racchiude in sé il significato di futuro e la sua coniugazione con il presente, poiché è vero che il futuro ci viene incontro e si costruisce attraverso ciò che avviene oggi e momento per momento, attraverso ciò che qui e ora ci raggiunge da ogni dove, e attraverso ciò che noi riusciamo a vedere, dire, fare qui e ora a partire dalla nostra fede condivisa nell’appartenenza ecclesiale. (...)La parola è il segno umano per eccellenza, l’espressione distintiva dell’umanità dell’uomo. L’uomo perviene alla propria umanità col giungere alla parola, col giungere cioè alla capacità di dare parola al mondo disordinato degli oggetti e dell’ambiente che lo circondano, ancora di più quando giunge alla capacità di dire i suoi pensieri, i sentimenti, il suo spesso confuso mondo interiore, e infine di dare un senso al suo mondo e alla sua vita. Ma può l’uomo conferire un tale senso? O lo riceve soltanto? In realtà lo incontra come risposta adeguata alla sua domanda di senso. E noi lo abbiamo riconosciuto in Cristo, un tale senso. Abbiamo riconosciuto in lui quella risposta in qualche modo inscritta nella struttura della nostra domanda, poiché da Colui che solo poteva darci la risposta è stata inscritta, o meglio oscuramente anticipata, in noi la domanda che doveva prepararsi ad accoglierla, è stata lasciata l’impronta decisiva, la sua immagine. (...)Credere è la condizione per capire. In un mondo e in un tempo che continuano a insinuare e, in alcuni casi, addirittura ad esigere che bisogna mettere la fede tra parentesi per usare della ragione e della libertà, noi possiamo solo ribattere, con la forza di convinzione che ci viene dalla sobria esperienza della fede e della Chiesa, che, riguardo alla presenza e all’azione di Dio e quindi al senso ultimo della vita, solo la fede - una fede che ama e che spera - apre gli occhi per vedere. Perché quando è in gioco Dio stesso, l’uomo non può comprendere e vedere senza mettere in gioco tutto se stesso in coscienza e libertà, appunto con la fede. Non si può incontrare Dio e aprirsi alla pienezza della vita e della gioia, senza scommettere tutto se stessi. (...)Riconoscere, non certo in modo stereotipato, Dio all’opera nella storia, con la sua parola di salvezza o di giudizio, anticipando nella propria parola la sua presenza e la sua iniziativa e giocando la propria coscienza e la propria vita nella parola detta e impegnata: è ciò di cui abbiamo bisogno. Non siamo infatti osservatori imparziali e asettici, ma testimoni coinvolti e, se si vuole, di parte; ma con la coscienza che la parte che ci è dato di vedere e annunciare è quella che si offre interamente e a tutti come salvezza, perché l’altra parte - quella di chi nega accoglienza alla verità e alla vita - non è frutto di esclusione compiuta da qualcuno contro altri, ma esito di una propria libera scelta. In questo non dobbiamo temere di rischiare l’arroganza o la presunzione, come se fossimo possessori esclusivi di un bene o giudici estranei al corso degli eventi; il nostro stile è quello del profumo, che raggiunge e conquista per pervasione e attrazione dentro l’ambiente di tutti coloro che si aprono alla sua presenza. Anche perché il profumo che attraverso di noi si diffonde è quello di Cristo, non il nostro. È sempre lui a raggiungere, conquistare i cuori, se possibile precedendo anche la nostra parola e la nostra presenza. Il nostro compito rimane allora quello di confessarlo e scrutare i segni della sua presenza nella nostra vita e nella storia, senza superficiali ottimismi e senza cedimenti allo scoraggiamento di fronte alle difficoltà innumerevoli che si incontrano, ma in una certezza carica di speranza che scaturisce dalla fede, e così anticipa il futuro di Dio amandolo già con il proprio giudizio e con le proprie scelte. Auguro di cuore a questa peculiare comunità che vive attorno ad Avvenire di essere un tale segno di presenza sobria e coerente della luce della fede che illumina e anima la storia, per porre germi di speranza e di futuro fecondi della forza stessa di Dio nella storia del nostro paese.