Le partite 'infette' sono già state rintracciate e ritirate dalla vendita, come prevede la normativa europea, ma non perché vi fosse un pericolo per l’uomo – diversamente dal ceppo H5N1, che dal 2005 in poi ha fatto circa 375 vittime nei Paesi in via di sviluppo, il virus H7N7 è altamente patogeno per galline e tacchini ma non per i consumatori e neanche, se non in linea puramente teorica, per chi lavora ogni giorno a contatto con gli animali – quanto per evitare che i gusci delle uova, dopo il consumo, potessero entrare in contatto con volatili domestici e amplificare così la diffusione del morbo.
Il vero pericolo legato all’emergenza in corso in Emilia-Romagna (in Veneto si è avuto un abbattimento preventivo a scopo cautelativo) è dunque economico: «Ci sono di mezzo un grande gruppo e una produzione in cui siamo leader»: a pronunciare queste parole, spossato, è Massimo Tassinari, il veterinario di Sanità animale dell’Ausl di Ferrara che coordina il caso Ostellato e sta combattendo la sua guerra contro l’aviaria 24 su 24 dal 15 agosto. Tassinari fa questo mestiere da quasi 30 anni e vederlo così preoccupato, francamente, impressiona: «Speriamo che quello di Mordano sia l’ultimo caso – dice – e se sarà così solo 30 giorni dopo la fine delle operazioni potremo considerarci fuori dall’emergenza». Che è una mazzata per l’Eurovo, il 'grande gruppo'.
Qui a Mordano, e tutt’intorno per chilometri, non c’è allevamento di ovaiole che non sia di proprietà dei Lionello o non lavori con la famiglia veneta che ha fatto dell’uovo italiano e degli ovoprodotti un business mondiale. «Leader di mercato in Europa e in Italia, primo produttore di uova per Private Label... 17 stabilimenti produttivi in Italia, Francia, Spagna, Inghilterra, Romania e Polonia… a Codigoro (Ferrara) il più grande allevamento a terra del mondo», recitano i documenti aziendali. Un nemico invisibile piovuto dal cielo – probabilmente, con le deiezioni di un migratore infetto – sta mettendo a repentaglio una produzione di oltre 10 milioni di uova al giorno che dà lavoro a un migliaio di addetti. «Le ricadute occupazionali di questa crisi rappresentano la prima preoccupazione che ho sottoposto alla proprietà – ammette il sindaco di Mordano, Stefano Golini – e per il momento mi hanno rassicurato: i dipendenti dei due stabilimenti contaminati dal virus saranno impiegati nella distruzione delle galline infette, che purtroppo va molto a rilento».
Tute a parte, non dev’essere semplice catturare una per una migliaia di galline ovaiole per gettarle nei cassoni a gas (anidride carbonica) da dove usciranno carcasse da inviare ai cementifici, dove saranno utilizzate come combustibile. È la sorte che seguiranno le 700mila ovaiole degli stabilimenti di Mordano (due complessi contaminati), le 128mila di Ostellato e i 65 mila tacchini di Portomaggiore, sempre nel Ferrarese, gli unici che si trovavano al di fuori della filiera Eurovo e che sono stati eliminati per «sospetta contaminazione». Non saranno risparmiate neanche le 200mila galline di Occhiobello, l’unica località veneta dell’emergenza. Anch’esse non si sono mai ammalate: hanno deciso di sopprimerle comunque, forse per evitare che un eventuale contagio paralizzasse l’attività del mangimificio che serve la filiera.
La rete europea di sorveglianza, scattata subito dopo la prima segnalazione di H7N7, vieta la movimentazione di animali vivi e mezzi nella zona rossa, ad eccezione delle uova destinate a impianti di confezionamento autorizzati, visto che il consumo sul mercato nazionale (quello comunitario ha comunque delle restrizioni in questo genere di emergenze) non costituisce un problema per i sanitari. Mordano, che ieri sera ha esorcizzato la paura con una megafrittata alla festa del Pd, sopporta con malcelato fastidio l’improvvisa notorietà.
Questo paesino alle porte di Imola avrebbe continuato volentieri ad essere famoso per la pallamano, grazie alle prodezze della Romagna Handball, e, come attesta il primo cittadino, a «produrre ma non consumare uova da supermercato, perché per fare la sfoglia come sanno farla le nostre donne non vanno bene, sono troppo smorte». I contadini intorno agli stabilimenti non sembrano intimoriti: «C’è troppa réclame intorno a questa storia dell’aviaria – ci racconta Daniele, che ha una gran bella vigna di Trebbiano ai confini con la 'fabbrica delle uova' –; io i miei cinque polli li tengo al chiuso. E amen». Che poi sono le vere best practices: durante un’epidemia di aviaria, gli scienziati predicano infatti la totale segregazione tra gli animali domestici (a partire dai luoghi in cui si nutrono) e quelli selvatici, che in Emilia si stanno comportando come portatori sani del virus.
Anche se si sospetta che l’untore di Ostellato sia stata un’anatra proveniente dal vicino Delta del Po, diversamente dal 2004/2006, le autorità non hanno riscontrato alcuna moria tra gli uccelli di palude e ciò rende maledettamente difficile 'tracciare' il virus e capire se siamo all’inizio o alla fine dell’epidemia. Anche per questo le riunioni si susseguono a ritmo frenetico e con i giornali e le tv si fa strada la dottrina Muraro, cioè bocche cucite per non spaventare i consumatori. Come ama ripetere il presidente degli avicoltori di Unaitalia, Aldo Muraro, quella del 2004-2006, che è costata al settore perdite per 700 milioni, «non è stata un’epidemia di influenza aviaria ma di influenza mediatica».