lunedì 27 maggio 2024
I dubbi dell'ufficio di Bilancio sulla necessaria «valutazione preliminare» e la risposta del governo: «Incidenza sui costi potrà essere nota solo dopo». Polemica anche sulle preoccupazioni della Cei
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a Palermo per la firma dell’Accordo di coesione con Regione Sicilia.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a Palermo per la firma dell’Accordo di coesione con Regione Sicilia. - Fotogramma

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Sull’autonomia differenziata c’è un problema anche di tenuta dei conti. A complicare la vita al ddl Calderoli arriva un documento dell’Ufficio di bilancio della Camera nel quale si chiede, a prescindere dalle funzioni trasferite alle Regioni, «una valutazione preliminare dell’impatto finanziario del trasferimento». Alle osservazioni dell’ufficio di Montecitorio, trasmesse ai gruppi in commissione, replica il governo: «Si ritiene che la valutazione finanziaria non possa prescindere dalla richiesta di attribuzione delle funzioni da parte della regione richiedente». Solo dopo, quindi «si possono valutare gli impatti finanziari», con la devoluzione alle regioni di nuove competenze.

Il ddl Calderoli identifica tre tipi diversi di funzioni trasferibili alle Regioni. Quelle legate a diritti civili e sociali che richiedono una preventiva definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), ma non lo stanziamento di risorse aggiuntive di bilancio; altre funzioni riguardanti diritti che richiedono la definizione di Lep ed anche lo stanziamento di risorse di bilancio aggiuntive; e infine funzioni che non richiedono la preventiva definizione di Lep, e che saranno devoluti alle regioni entro i limiti delle attuali risorse. Ma il Servizio di Bilancio, nel dossier pubblicato anche sul sito della Camera, ha osservato che per tutte le funzioni, «la presenza di disposizioni di carattere generale, applicabili a prescindere dalle funzioni trasferite, impongono comunque quanto meno una valutazione preliminare dell’impatto finanziario del trasferimento». Infatti, a fronte della devoluzione di competenze dello Stato a una o più regioni, lo Stato deve comunque mantenere una struttura amministrativa per assicurare le prestazioni alle altre Regioni.

«Il governo sta navigando a vista» commenta Ubaldo Pagano del Pd.

Proprio perché in gioco è il Bilancio dello Stato occorrerebbe un controllo del Parlamento, chiede l’ufficio di Bilancio. Per cui i criteri previsti dal ddl Calderoli «appaiono meritevoli di approfondimento perché non corroborati dalla previsione di un pieno coinvolgimento delle Camere», e perché una parte delle funzioni trasferite «comporta la devoluzione di una quota di gettito erariale significativa e, contestualmente, la perdita di controllo da parte dell’amministrazione centrale di voci rilevanti di bilancio». Non solo. Il Servizio Bilancio chiede anche che sia valutata la opportunità «di sottoporre al parere delle Commissioni parlamentari permanenti» i Dpcm che identificano i beni e le risorse che saranno trasferite alle Regioni. La risposta del governo è che il Parlamento «è coinvolto in varie fasi e le stesse intese (con le regioni) sono deliberate mediante l’approvazione di un disegno di legge»; e i Dpcm «costituiscono soltanto lo strumento tecnico ed esecutivo di una valutazione politica compiuta a monte» e «già sottoposta a una forma di sindacato parlamentare».

Ma, al di là degli aspetti tecnici, sono ancora le preoccupazioni espresse dalla Cei per la tenuta dell’unità del Paese a tenere banco. «Le argomentazioni dei vescovi sono improntate al buon senso», per Elly Schlein. «È evidente - aggiunge la segretaria del Pd - che siamo tutti preoccupati per il fatto che in un Paese in cui l'Istat ci racconta che stiamo toccando il picco di povertà assoluta ed in cui un italiano su dieci è in povertà assoluta, c'é un governo che vuole tagliare l'Italia in due e che cancella l'unico strumento di contrasto alla povertà e blocca la nostra proposta sul salario minimo».

«Inviterei a leggere il testo del disegno di legge Calderoli. La solidarietà nazionale non corre alcun rischio. Anzi, da questa riforma i territori escono rafforzati, da Nord a Sud. Non bisogna avere paura di consentire anche al Mezzogiorno di esprimere tutte le sue potenzialità», replica con un’intervista al Corriere della Sera di lunedì il presidente del Friuli-Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, della Lega. La presa di posizione dei vescovi, a suo dire, è dovuta a «mancanza di conoscenza del testo in assoluta buona fede». Un lessico «grave e irrispettoso», replica il responsabile Sud della segreteria nazionale Pd, Marco Sarracino. «Fedriga farebbe meglio, da presidente della conferenza delle regioni, a chiedere scusa per le parole usate e a rivolgere invece un serio invito alla sua maggioranza a fermarsi». «Forse è lui che non conosce bene il testo della riforma dell'autonomia differenziata scritto dal suo collega leghista Calderoli», incalza il senatore Alessandro Alfieri, responsabile Riforme del Pd.

«Il richiamo alla tutela della solidarietà nazionale lo trovo assolutamente corretto - sostiene ancora Fedriga -, ma il testo che è all'esame del Parlamento non la mette a repentaglio. Non posso pensare che i vescovi facciano valutazioni politiche. Lo escludo. Dopodiché sono disponibile a confrontarmi nel merito e a fornire tutte le rassicurazioni del caso».

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