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Lo “Stato sociale” va bene ma diventa un boomerang se i costi gravano per intero sulle spalle delle famiglie. Che welfare sarebbe?
È ciò che sta succedendo, però, con il nuovo Contratto collettivo nazionale di lavoro colf e badanti entrato in vigore il 1° gennaio scorso. Sacrosanti e doverosi – sia chiaro – gli aumenti di stipendio previsti per chi assicura l’assistenza domestica a un anziano o a un disabile e a chi presta servizio in qualità di collaboratore familiare, anche come baby-sitter. Parliamo di quasi un milione di persone, in Italia. Era necessario innalzare sia le retribuzioni, mediamente basse, sia il costo dei contributi che le indennità sostitutive di vitto e alloggio.
Ma per i datori di lavoro, il peso economico che si aggiunge, a fronte delle 30 ore alla settimana solitamente richieste ai loro dipendenti, ammonta, in base a un calcolo elaborato dalle organizzazioni di categoria, a circa 1.600 euro l’anno se l’operatore è a tempo pieno e convivente, e a 1.300 euro in tutti gli altri casi. E con gli “scatti di anzianità” la spesa in più aumenta ulteriormente.
Oneri insostenibili se si tiene conto anche del più elevato costo della vita dovuto all’inflazione e all’energia. Per questo, 25 tra associazioni e comitati di cittadini e famiglie interessate al problema hanno inviato una “lettera aperta” al governo e al parlamento per chiedere un urgente intervento politico-legislativo, anche in considerazione della limitata deducibilità fiscale dei contributi versati e dell’inadeguatezza del Fondo statale per la non autosufficienza.
Si parla di un comparto che interessa oltre due milioni di famiglie e che vale 7,2 miliardi (dato 2020) tra retribuzioni, contributi previdenziali e Tfr, solo per il lavoro regolare mentre il volume complessivo per il cosiddetto “nero” (che andrebbe fatto emergere con sanatorie e agevolazioni) ammonta a quasi 15 miliardi. A queste cifre va inoltre aggiunto tutto il lavoro non riconosciuto svolto da migliaia di caregiver familiari, ovvero da persone, per la maggior parte donne, che spesso rinunciano a una propria occupazione e alla carriera per assistere quotidianamente il loro congiunto malato o anziano.
I datori di lavoro, dunque, insorgono. «Saranno ancora più colpiti i nuclei che hanno scelto di regolarizzare i contratti anche nella speranza, parzialmente soddisfatta, di poter contare su contributi pubblici che non coprono mai completamente i costi – si legge nella lettera – l’effetto certo e quello dell’ulteriore impoverimento, sospingendo o mantenendo famiglie e persone nella povertà relativa se non assoluta. Questo nuovo sovraccarico economico costringerà a scelte inevitabili».
Secondo Cittadinanzattiva, Agenzia per la Vita Indipendente, il Coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down, la Federazione dei volontari in oncologia (Favo), il Forum italiano diritti autismo (Fida), il Movimento consumatori e le altre realtà che hanno firmato il documento, dagli effetti della nuova normativa sono colpite in particolare le famiglie con persone anziane non autosufficienti che hanno preferito non ricorrere al ricovero, i cui costi sono anch’essi aumentati, in Rsa (si tratta del 58,5% del totale, secondo dati Censis), quelle dove vivono e vengono curati malati oncologici, le persone con disabilità che hanno optato per percorsi di vita indipendente avvalendosi anche di assistenti personali, i caregiver che hanno necessità di essere coadiuvati da assistenti, colf e operatori sanitari. Esiste infine il rischio di un ricorso diffuso ai rapporti di lavoro non contrattualizzati.
«Non c’è più tempo per ricorrere a “riforme epocali”» sostengono le 25 associazioni, che chiedono alle istituzioni cinque interventi: un aumento del Fondo per la non autosufficienza con un’accelerazione delle modalità di accesso agli stanziamenti (ora troppo burocratizzate); un adeguamento dei contributi e una semplificazione delle regole per i progetti di vita indipendente e per l’assistenza ai gravissimi; l’erogazione di un bonus straordinario a favore dei nuclei e delle persone che hanno sottoscritto regolari contratti in presenza di una persona non autosufficiente; una revisione tempestiva delle formule di detrazione e deduzione delle spese tali da compensare gli oneri sostenuti e favorire l’emersione del lavoro nero; l’ampliamento dei criteri per l’ingresso di stranieri che svolgano attività di lavoro domestico. Va tenuto presente, infatti, che nella cura della persona nel nostro Paese è impiegato il 23% di stranieri (soprattutto non comunitari) contro il 5,7% degli italiani sull’occupazione totale.