In Calabria c’è un giornale che dà fastidio. Vera spina nel fianco di quella massa sfuggente composta da clan della ’ndrangheta, logge massoniche, pezzi di istituzioni compromessi e deviati, malapolitica. Un giornale a cui far arrivare un segnale obliquo eppure chiaro, apparentemente confuso ma in realtà inequivocabile. Quel giornale è l’Avvenire di Calabria, il settimanale di Reggio Calabria che ha stretto un patto informativo con Avvenire e ogni domenica viene pubblicato e distribuito con il nostro quotidiano e insieme ad Avvenire conduce inchieste e approfondimenti. Dalla "masso-mafia", alla scoperta di una "terra dei fuochi" nel Reggino, che ha mosso in pochi giorni perfino l’Esercito e alle denunce contro la cattiva politica, arrivando a provocare anche rimpasti in giunte amministrative.
Nei giorni scorsi, dopo alcune azioni preliminari e apparentemente trascurabili, ignoti si sono introdotti di notte nella redazione giornalistica, guidata da don Davide Imeneo. La sede, in pieno centro e a pochi passi da enti ultrasorvegliati, come il Municipio e la Questura, ha subito una irruzione secondo il più classico dei canoni mafiosi. La porta d’ingresso è stata forzata, ma una volta all’interno gli intrusi non hanno rubato nulla, nonostante vi fossero computer e apparecchi tecnologici di un certo valore e facile trasportabilità. Una prova di forza culminata con un dettaglio inquietante: gli incaricati dell’azione hanno manomesso la registrazione della videosorveglianza, cancellando i filmati nei quali veniva ripresa l’intrusione. Poi sono andati via, lasciando tutto in ordine.
L’episodio è avvenuto il 17 luglio, e nelle ultime ore è stato reso noto con un dettaglio che aggiunge altre ombre. Tre giorni prima uno dei giornalisti dell’Avvenire di Calabria non aveva più trovato la chiave elettronica per l’attivazione del sistema antifurto, e aveva pensato di averla smarrita. Ma quella che inizialmente era stata considerata una distrazione, viene oggi valutata dagli inquirenti come un possibile furto pianificato, peraltro commesso nel fine settimana, quando la redazione e gli altri uffici dello stabile chiudono. E in effetti all’inizio della settimana successiva alla sparizione della chiave elettronica è stata scoperta l’irruzione notturna.
«È un fatto che preoccupa, ma che non ci intimidisce affatto», reagisce l’arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini, che parla di una serie di episodi «non casuali». In altre parole, aggiunge, «l’Avvenire di Calabria e Avvenire danno fastidio a qualcuno. E questo, anziché intimorirci, ci da perfino soddisfazione, perché vuol dire i giornalisti stanno toccando temi e interessi sensibili». Fiorini Morosini rilancia il messaggio con cui aveva inaugurato assieme al direttore di Avvenire Marco Tarquinio la strettissima collaborazione tra settimanale e quotidiano: «Noi non siamo al servizio di nessuno. Ci interessa solo la ricerca della verità e della giustizia. In una terra come la nostra questo impegno suscita allarme in chi si vede colpito nei propri interessi e nei propri affari».
Del resto «quando un giornale svolge a fondo il proprio mestiere - osserva don Alessandro Bianchi, presidente della Federazione dei settimanali cattolici (Fisc) - è inevitabile che diventi strumento di denuncia e oggetto di attenzioni di chi invece vorrebbe che si tacesse». Perciò «va lodato e incoraggiato l’impegno di queste redazioni e dei giornalisti che dimostrano, una volta di più, come le testate cattoliche non sono al servizio esclusivo della Chiesa, ma uno strumento per il bene di tutta la comunità».