venerdì 7 ottobre 2011
Il censimento impossibile nella città terremotata. Postini e rilevatori a caccia degli aquilani: uno su due ha cambiato indirizzo e migliaia non l’hanno mai comunicato. Tremila "fantasmi" per l’anagrafe.
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Tra tagli e pensionamenti, le scrivanie dell’ufficio anagrafe sono tutte vuote e Gianfranco Ciccozzi ne occupa due. Seduto a quella di responsabile comunale del 15° censimento, riceve i rilevatori che danno forfait: nella città del terremoto trovare un residente a casa propria è come cercare un ago nel pagliaio e i cinque euro promessi dall’Istat per ogni modulo consegnato appaiono del tutto inadeguati alla fatica. Ma in un ufficio pubblico, ancorché terremotato, una scrivania non vale l’altra, ed ecco che il funzionario si sposta puntigliosamente a quella della toponomastica per spiegare, con accento emiliano, al proprietario di una casa appena costruita che la pratica sarà pure lunga ma che non si può rinunciare al proprio numero civico, perché, per rintracciare una persona, «quello è l’unico numero identificativo certo». E l’altro che gli risponde in abruzzese stretto: «Dottò, io intanto ci abito e questa è l’unica cosa certa!».Più di trentamila persone che vivono in abitazioni provvisorie, migliaia di imprese chiuse, uffici pubblici smembrati, una viabilità caotica e la ricostruzione del centro ancora ferma: ridare certezze all’Aquila è una missione impossibile, proprio come censire una popolazione terremotata. Dal tempo di Augusto, che lo indisse per sapere quante tasse far pagare alle province dell’Impero, ogni censimento si nutre di certezze: difficile dire lo stesso nei 57 comuni del cratere sismico, dove quello civico non è più un «numero identificativo certo» e consegnare una lettera può diventare un’impresa. L’Istat invia i suoi questionari in base alla lista anagrafica comunale ma l’aggiornamento non avviene da vent’anni e il terremoto, facendo cambiare tetto a migliaia di abruzzesi con la frequenza dei pastori dannunziani, ha dato il colpo di grazia.Non a caso, qui e solo qui, l’Istat ha introdotto il concetto - paradossale in una rilevazione censuaria - di "temporaneità" della dimora e questa non è l’unica deroga accordata a chi, non avendo più la propria casa, è chiamato a decidere quale alloggio dichiarare e a descriverlo. Elisabetta Temperilli fino al 6 aprile del 2009 dimorava nella centralissima via Roma: «dopo il sisma sono stata in hotel, poi da mia figlia e ora abito a Preturo, in un prefabbricato del progetto Case, 30 metri quadrati con la badante, ma sto cercando casa». Antonio Ciminà, ex calciatore, viveva in via Amiternum 22. Il palazzo è distrutto, lui ha scelto l’autonoma sistemazione e cambiato due appartamenti. Ora vive «da un amico, perchè gli affitti all’Aquila hanno prezzi da sciacalli». Entrambi risultano residenti nelle loro vecchie case, come se il sisma non ci fosse mai stato. Con quest’operazione l’Istat si ripromette di individuare i residenti, fornire un quadro degli edifici e aggiornare l’anagrafe comunale. In una città di settantamila abitanti dove una persona su due non vive più a casa propria, la residenza, che per il codice civile corrisponde alla dimora abituale, diventa un concetto aleatorio. L’Istat ha previsto per questo che si possa dichiarare il domicilio temporaneo e, entro certi limiti, scegliere "dove" risultare residenti. Per salvare la coerenza statistica, sono stati create anche "sezioni fittizie" dove stoccare i dati. Non tutti dovranno rispondere alle domande relative all’alloggio; curiosamente, però, la deroga vale solo per chi utilizzerà il modulo cartaceo mentre la procedura on line non ammette eccezioni. Deroga totale - e fatale - invece per il censimento degli edifici. Recita la circolare Istat: «Nelle zone eventualmente non agibili la rilevazione degli edifici avverrà d’ufficio tramite l’uso di informazioni in possesso del Comune». Ettari di zona rossa non saranno mai censiti, la "fotografia" degli immobili sarà quella ante-sisma.Tutti questi problemi potrebbero non porsi neppure se migliaia di aquilani risulteranno irreperibili al postino e ai rilevatori. Gli indirizzi provvisori dove si dovrebbero trovare gli sfollati sono certi solo in parte per i 18.000 che vivono in strutture del governo (Case e Map). Inoltre, per le famiglie che usufruiscono del contributo di autonoma sistemazione, conferma Altero Leone della Struttura di Gestione dell’Emergenza, «non è possibile individuare l’indirizzo in quanto gli interessati o non hanno comunicato la nuova dimora oppure non lo hanno mai indicato». Parliamo di 10.000 cittadini. Parecchi nutrono una vera e propria idiosincrasia per i numeri civici, forse perché l’ordinanza 3754 prevede che chi trova una sistemazione stabile perda gli aiuti dell’emergenza... Con questi problemi si scontreranno i rilevatori (oggi sono 75) che dai 21 novembre cercheranno di rintracciare chi non ha risposto al questionario. Ciccozzi guarda con preoccupazione all’aggiornamento dell’anagrafe: «Dopo i censimenti del 1991 e del 2001 non siamo riusciti a farlo e non solo all’Aquila. A Roma sono tornati indietro 280.000 questionari...» Il suo accento emiliano e il rigore con cui cerca di difendere il regolamento anagrafico ti fanno sentire sul set di "Benvenuti al Sud" e anche il Ciccozzi, come Bisio, alla fine abbozza: «l’Istat considera fisiologico il 10% di mancate consegne - riferisce - ma noi ce ne aspettiamo di più». Difficile, in effetti, che si facciano vivi quei 3.000 residenti che dal giorno del terremoto non danno più notizie: sono nelle liste anagrafiche ma non hanno chiesto mai nè aiuti nè contributi; vien da pensare che si tratti di persone che con la città hanno ormai ben pochi legami. Nei palazzi della politica aquilana si inizia a temere che il censimento certifichi un esodo di massa che potrebbe mettere in discussione il ruolo del capoluogo e la ripartizione delle risorse del federalismo fiscale. L’assessore all’anagrafe, l’avvocato Pierluigi Pezzopane (Idv) mette le mani avanti: «l’unica certezza è che le risorse diminuiscono e che l’Aquila dovrà godere di un trattamento speciale in quanto città terremotata. Speriamo nella legge di iniziativa popolare per la ricostruzione, ora in Parlamento». Anche lui è sfollato: «Viviamo in paesini satelliti che prima non conoscevamo neppure e che non hanno i servizi necessari; è più che naturale che gli aquilani continuino a traslocare e tutti i giorni tornino in città, intasando la viabilità. La ricostruzione del centro è l’unica alternativa al clima di provvisorietà che ci avvolge». Che, tuttavia, in qualche caso, anzichè respingere, può radicare l’aquilano a un numero civico, anche molto saldamente. E’ il caso della delibera comunale che, a poche settimane dal sisma, aveva autorizzato la costruzione di abitazioni provvisorie: immediatamente sono sorte tremila villette che, stando al testo unico dell’edilizia, dovranno essere abbattute tre mesi dopo la fine dell’emergenza. Come si sa, sono passati più di quarant’anni e quella del Belice è ancora aperta.
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