sabato 4 luglio 2009
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«Non mi consta che ci siano state critiche che si debbano qualificare come critiche del Vaticano». La dichiarazione rilasciata ieri ai giornalisti dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, mette un punto fermo dopo il tam tam mediatico che era seguito all’approvazione del “Ddl Sicurezza” e ad alcune prese di posizione sul provvedimento legislativo un po’ troppo frettolosamente attribuite al Vaticano in quanto tale. Il portavoce del Papa ha ribadito infatti quanto aveva fatto notare in precedenti analoghe situazioni: le dichiarazioni pur autorevoli di singoli rappresentanti di Curia non possono essere assimilate a quelle della Santa Sede. Ma andiamo per ordine. Giovedì, dopo l’approvazione del “Ddl Sicurezza”, alcuni esponenti vaticani tra i quali monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti, avevano espresso critiche al provvedimento. Contemporaneamente le agenzie diffondevano il sunto di un articolo del presidente del medesimo discat­sreo, monsignor Antonio Maria Ve­gliò, pubblicato da Aggiornamenti so­ciali. Questi interventi, fatti passare sui giornali come la linea del Vatica­no, avevano immediatamente inne­scato una catena di reazioni positive da parte dell’opposizione, e critiche da parte della maggioranza. Una esca­lation che portava il ministro dell’In­terno, Roberto Maroni a dichiarare: «È la solita liturgia». Quindi, dopo le parole di padre Lombardi, aggiunge­va: «Monsignor Marchetto parla a no­me proprio e non per conto della San­ta sede, come dimostrano le puntuali precisazioni della Sala Stampa vatica­na ». Restano comunque nel mondo catto­lico italiano dubbi e perplessità ri­guardo a una normativa che secondo il Cif (Centro femminile italiano) «in­duce alla delazione e conduce alla cri­minalizzazione degli irregolari». «Una serie di norme di chiusura», le defini­sce il Meic, mentre per Pax Christi si tratta di «un’offesa alla famiglia uma­na » e per i Salsesiani della Federazio­ne Scs/Cnos «così si rinsaldano le paure e le fobie sugli stranieri». Ieri pomeriggio, con una dichiarazio­ne all’agenzia Sir, il direttore dell’Uffi­cio comunicazioni sociali della Cei, monsignor Domenico Pompili ha ri­badito che anche all’indomani del­l’approvazione del ddl sicurezza «vale quanto affermato nel comunicato fi­nale dell’ultima assemblea generale della Cei». E cioè «che si tratta di un fenomeno assai complesso, che proprio per que­sto deve essere governato e non subì­to. È peraltro evidente che una rispo­sta dettata dalle sole esigenze di ordi­ne pubblico – che è comunque neces­sario garantire in un corretto rapporto tra diritti e doveri – risulta insufficien­te, se non ci si interroga sulle cause profonde di un simile fenomeno. Due azioni convergenti sembrano irrinun­ciabili. La prima consiste nell’impedi­re che i figli di Paesi poveri siano co­stretti ad abbandonare la loro terra». La seconda, conclude Pompili, «sta nel favorire l’effettiva integrazione di quanti giungono dall’estero, evitando il formarsi di gruppi chiusi e prepa­rando “patti di cittadinanza”».
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