Un tetto a chi non ce l’ha, aprendo canoniche e parrocchie, assistenza sanitaria e legale nel percorso di denuncia dei caporali. E soprattutto ascolto dei bisogni di chi vive ai margini della società e del mercato del lavoro. Ecco il lavoro che la Chiesa offre da anni a italiani e stranieri, vittime del lavoro irregolare nei campi; un compito che negli ultimi due anni si è intensificato e strutturato nel progetto di Caritas italiana
Presidio, l’iniziativa che opera in dieci territori colpiti dal caporalato per aiutare i braccianti sottopagati (diocesi di Acerenza, Caserta, Foggia, Melfi-Rampolla-Venosa, Nardò-Gallipoli, Oppido Mamertina-Palmi, Ragusa, Saluzzo, Teggiano-Policastro, Trani-Barletta-Bisceglie). Qui, complice la crisi, sempre più italiani stanno per necessità tornando contadini, piegandosi a condizioni d’impiego al minimo ribasso. Così quasi duemila persone sono state aiutate in poco più di un anno direttamente nei campi, con una «metodologia innovativa - spiega Oliviero Forti, responsabile immigrazione dell’ente pastorale della Cei - per la prima volta avviata su base nazionale da un’organizzazione, che porta l’assistenza direttamente sui luoghi del bisogno». I numeri dimostrano, però, sia l’enormità del problema che «la necessità di dare un’assistenza mirata, dove mancano completamente riferimenti istituzionali». Dopo aver vinto il timore della denuncia e avendo aperto il cuore con fiducia ad operatori e volontari, i braccianti stranieri domandano perciò una casa dignitosa e l’aiuto per orientarsi nei servizi sul territorio, a cui si aggiungono gli italiani - «comunque più restii a chiedere aiuto», ammette Forti - che vengono accompagnati a livello legale ed amministrativo nel percorso di emersione dall’illegalità. Il progetto, infatti, non è finalizzato esclusivamente agli immigrati, ma a tutti coloro che vivono un’ingiustizia in agricoltura; anche se «il
target degli italiani - dice Forti - non riusciamo a intercettarlo con facilità»; da un lato perché queste persone vivono mediamente in una situazione migliore e hanno spesso una casa propria, dall’altro perché «il senso di pudore molte volte gli impedisce di rivolgersi a noi. Anche se vorremmo bussassero di più alla nostra porta». Loro, come pure gli stagionali stranieri, sono accomunati tuttavia - quando va bene - da contratti grigi, che coprono solo in parte le ore lavorate o le mansioni svolte, a cui si cerca di dare una soluzione attivando vertenze insieme ai sindacati. Quel che fa più male, racconta il responsabile immigrazione di Caritas, è che «gli stessi lavoratori entrano nell’ottica dello sfruttamento. Così quello che per noi è anorma-le, per loro diventa quasi inevitabile». Perciò a queste persone gli ottanta operatori Caritas, tra dipendenti e volontari che si alternano nei presidi, danno assistenza legale per chi denuncia il proprio datore di lavoro e, «ma sono casi più contenuti», chi consegna alla giustizia addirittura il caporale. Ma non mancano neppure casi in cui «c’è bisogno di accompagnare in ospedale i contadini stranieri feriti o bisognosi di cure - racconta Forti - che vengono seguiti fino a completa guarigione». Un aiuto «tutt’altro che banale» per chi non ha neppure una bicicletta per spostarsi. È comunque l’alloggio il grande dramma; la prima richiesta che arriva da chi vive nei campi, in tendopoli o baraccopoli lontane della città. Secondo l’ultimo rapporto di
Presidio, difatti, il 48% delle persone abita in strutture insieme a dieci coinquilini e il 40% in tendoni con anche 50 persone. Motivi economici (il 72% ha contratto un debito con un familiare o col caporale) e la difficoltà di trovare appartamenti in affitto così portano a passare le notti all’aperto, anche d’inverno. Uno su tre, però, vive in strutture di accoglienza messe a disposizione dalla chiesa locale. Una risposta, come è accaduto ad esempio nel caso di Palazzo San Gervasio in Basilicata, «delle parrocchie che aprono le porte, ospitano per mesi chi ha bisogno - continua l’esponente di Caritas italiana - dando un sostegno enorme a chi non ha nemmeno un tetto per ripararsi dalla pioggia». Ora l’obiettivo è estendere il servizio, monitorando nei prossimi mesi le realtà pronte ad attivare altri presidi.